Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

L'assetto organizzativo della rappresentanza centrale è da tempo oggetto di articoli ed interrogazioni  parlamentari, per i costi del suo  funzionamento e, recenti vicende di cronaca giudiziaria,  che hanno interessato un delegato dell'Arma dei carabinieri, hanno accentuato il clamore mediatico sull'argomento.

In un recente commento apparso sull'agenzia agenparl si afferma testualmente che: "All’interno dei Consigli della Rappresentanza militare di soldi ne circolano tanti, più di 4,2 milioni di euro all’anno. Una cifra consistente che l’amministrazione militare paga per le spese di missione direttamente ai componenti dei Consigli della Rappresentanza militare delle forze armate, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza che si recano nei luoghi di riunione partendo dalla propria sede di servizio..... Chi più chi meno, tutti ci guadagnano un bel gruzzolo che in alcuni casi può arrivare anche a circa 25.000 euro all’anno, esentasse, da aggiungere al normale stipendio.....Con una media di 24,5 milioni di euro all’anno i contribuenti - prosegue l'articolo -  hanno inconsapevolmente foraggiato un sistema che, è al completo servizio dei degli interessi dei vertici militari e della compagine politica che li sostiene. ...

Fin qui la cronaca e l'opinione dell'estensore dell'articolo.

Non si può certamente ignorare che le critiche mosse alla RM sono alimentate anche da un sistema, la cui inefficienza funzionale è diretta conseguenza di  norme legislative e regolamenti inadeguati, a partire dalla mancanza di  autonomia quale organismo interno all'ordinamento militare, in cui prevale il principio gerarchico.

Queste carenza vengono denunciate da anni,  e vani sono stati i tentativi, anche in questa legislatura, di giungere ad una riforma della RM.

Ovviamente, le proroghe concesse al mandato in carica, non hanno fatto altro che accrescere la sfiducia latente tra il personale, che giustamente rivendica il diritto di poter scegliere i propri rappresentanti a conclusione del ciclo previsto per legge.

Senza contare, che il tema del riconoscimento del diritto costituzionale a costituire associazioni professionali, è rimasto sullo sfondo di un dibattito parlamentare asfittico e per nulla rispettoso delle indicazioni sancite dalla normativa internazionale e da sentenze della Corte di giustizia europea.

Così come, pareri di eminenti costituzionalisti, chiaramente espliciti nel sollecitare un adeguamento delle norme nazionali alla giurisprudenza europea,  auditi in Commissione Difesa della Camera, sono rimasti agli atti parlamentari, senza alcuna conseguenza nella definizione di un testo legislativo condiviso.
In tale cornice, si inseriscono ormai quasi quotidianamente soprattutto sulla rete, accuse contro  delegati  autoreferenziali e - come si legge nell'articolo sopra citato -  sempre più asserviti al volere dei vertici militari e del Governo di turno.

Fermo restando che  le critiche con cui si tende a generalizzare, non ci piacciono e non ci sono mai piaciute, non esitiamo nell'affermare che, in questi quasi quarant'anni di vita delle Rappresentanze, abbiamo avuto modo di conoscere molti delegati eletti al Cocer che hanno svolto il loro mandato con impegno, pur districandosi in lacci e lacciuoli che ne hanno impedito di fatto un ruolo attivo ed efficace.

Le pressioni dei vertici militari ci sono sempre state, sin dall'inizio della nascita delle RM. Ostacoli all'esercizio del mandato, anche ; come pure, delegati puniti e imbavagliati e limitati nella libertà di espressione.

Quindi, i problemi da porre oggi, sono di ben altro spessore e non li vediamo tra le righe dei vari commenti che abbiamo letto, molto inclini a personalizzazioni.

Innanzitutto, c'è  la disarmante incapacità politica che ha sempre sottovalutato la necessità di una apertura  democratica verso i diritti sindacali o, quanto meno, associativi  facendo progredire il sistema della RM verso modelli piu' aperti al mondo esterno. Con procedure elettive piu' democratiche, favorendo la piu' ampia partecipazione della base e agevolando la formazione dei  delegati .

Tutto questo c'è stato?

NO.

In secondo luogo, non si può sottovalutare la   profonda crisi del sistema di rappresentanza in senso generale, che nel paese ha fatto perdere prestigio ai cosiddetti corpi intermedi: partiti, sindacati, associazioni. Una crisi scaturita in una conflittualità altissima  - anche verbale - spesso  pari all'inconcludenza: molte urla,  zero soluzioni.

Sono in molti oggi a ritenere di avere la verità in tasca, di poter  delegittimare un sistema e gli uomini che ne fanno parte. Ma quanti sono coloro che si  impegnano in prima persona perchè le cose cambino? A parte  affannarsi dietro una tastiera inseguendo il post  dell'imbonitore di turno?

Di fatto accade spesso che gli esseri umani, alla disperata ricerca di cose semplici da capire, procedano mediante una logica on/off, secondo la quale una cosa che non è bianca è  nera.

Ma il dibattito sui diritti non può essere affidato ad una valutazione soggettiva, tantomeno all'autocompiacimento o alla gogna digitale.

Una delle regole del funzionamento della democrazia è il rispetto delle sfere di competenze e responsabilità di ognuno, quindi è ovvio che anche chi fa parte di organismi di rappresentanza debba sempre interrogarsi sulla efficacia, efficienza e piena corrispondenza delle proprie azioni, rispetto alle aspettative di chi si  rappresenta. Specialmente laddove si ha  una funzione di rappresentanza e di relazione con i cittadini.

Per far questo ci vuole maturità, consapevolezza e trasparenza. Ed occorre rimettersi al giudizio dei propri rappresentati.

Tutto il resto è gossip.

A.Manotti

 

 

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