Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Con il Decreto legge 90/2014 è andato in soffitta il trattenimento in servizio quell'istituto che consentiva ai dipendenti pubblici di rimanere sul posto di lavoro per un ulteriore lasso di tempo (di regola due anni) oltre il compimento dell'età pensionabile  di vecchiaia, cioè oltre i 66 anni e 3 mesi (66 anni e 7 mesi dal 2016). L'intervento legislativo è stato giustificato dalla circostanza di rinnovare le pubbliche amministrazione e di facilitare l'ingresso dei giovani anche se giova ricordare che l'istituto continua a poter essere attivato nei casi in cui il dipendente pubblico non abbia raggiunto il requisito contributivo minimo per la pensione di vecchiaia all'età di 66 anni e 3 mesi. 

 

Questo temperamento discende dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 282 del 1991 ed è stato confermato dalla recente Circolare della Funzione Pubblica n. 1/2015. La Circolare precisa infatti che se "considerando tutti i periodi contributivi, il dipendente non raggiungerà il minimo di anzianità contributiva entro il raggiungimento dell'età anagrafica per la pensione di vecchiaia prevista dall'articolo 24, comma 6, del predetto decreto-legge n. 201 del 2011, l'amministrazione dovrà valutare se la prosecuzione del rapporto di lavoro fino al compimento dei 70 anni di età (oltre all'adeguamento alla speranza di vita) consentirebbe il conseguimento del requisito contributivo. In caso affermativo, l'amministrazione dovrà proseguire il rapporto di lavoro al fine di raggiungere l'anzianità contributiva minima. In caso contrario, l'amministrazione dovrà risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro".

Si pensi ad esempio ad un lavoratore che all'età di 66 anni e 3 mesi avesse maturato solo 17 anni di contributi. Se si seguisse una interpretazione rigida della norma la pubblica amministrazione dovrebbe risolvere d'ufficio il rapporto di lavoro senza poter garantire al lavoratore la possibilità di una pensione (servono infatti almeno 20 anni di contributi per acquisire il diritto alla pensione di vecchiaia). In questa circostanza, invece, il dipendente può chiedere di restare in servizio, e l'amministrazione dovrà concederlo, sino a 69 anni e 3 mesi per permettere al lavoratore di guadagnare quei tre anni di contributi che gli servono per agguantare la pensione di vecchiaia. C'è solo un limite anagrafico che non può essere superato: 70 anni da adeguare comunque alla speranza di vita.

 

Prima di disporre il trattenimento le pubbliche amministrazioni dovranno però valutare se il requisito dei 20 anni di contributi possa essere integrato sommando le anzianità contributive relative a diverse gestioni previdenziali ai fini dell'esercizio della totalizzazione o del cumulo contributivo gratuito secondo quanto stabilito dall'articolo 1, commi 238-248, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. Così, ad esempio, qualora il nostro lavoratore avesse altri 5 anni di contributi nella gestione separata, non potrà ottenere il trattenimento perchè, tramite questi due istituti, egli potrebbe perfezionare il requisito contributivo minimo di 20 anni per la prestazione di vecchiaia (17 anni + 5 anni = 22 anni di contributi). 

Leggi Tutto: http://www.pensionioggi.it/notizie/pubblico-impiego/pensioni-trattenimento-in-servizio-abolito-ma-non-per-tutti-gli-statali-85966#ixzz3iicXRsHW

Argomento: 
Attualità e Politica