Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

La presenza in famiglia di altra persona che sia tenuta o che possa provvedere all’assistenza del parente non esclude di per sé il diritto ai tre permessi mensili retribuiti. Diversamente, infatti, si frustrerebbe lo scopo perseguito dalla legge. È infatti presumibile che, essendo il lavoratore impegnato con il lavoro, all’assistenza del parente provveda altra persona, mentre è senz’altro ragionevole che quest’ultima possa fruire di alcuni giorni di libertà, in coincidenza con la fruizione dei tre giorni di permessi del lavoratore (nella specie, la Corte ha riconosciuto il diritto ai tre giorni di permesso mensile ex art. 33 legge 104 pur in presenza di una colf) [1].

La richiesta del pubblico dipendente di trasferimento ad altra sede per prestare assistenza a congiunto portatore di handicap non configura un diritto incondizionato del richiedente. Pertanto la Pubblica amministrazione può legittimamente respingere l’istanza di trasferimento di un proprio dipendente, presentata ai sensi dell’art. 33, l. 5 febbraio 1992 n. 104 quando le condizioni personali e familiari dello stesso siano meno importanti e urgenti di fronte all’interesse pubblico alla tutela del buon funzionamento degli uffici e del prestigio dell’Amministrazione [2].

A seguito della modifica apportata nel 2010 [3], i requisiti della continuità ed esclusività dell’assistenza al congiunto portatore di handicap del dipendente non possono più essere pretesi dall’Amministrazione come presupposto per la concessione dei benefici di cui all’articolo 33 della legge 104/1992, con la conseguenza che gli unici parametri entro i quali l’Amministrazione deve valutare se concedere o meno i benefici in questione sono da un lato le proprie esigenze organizzative ed operative e, dall’altro, l’effettiva necessità del beneficio da parte del dipendente, al fine di impedire un suo uso strumentale [4].

Nel settore del pubblico impiego, agli effetti del trasferimento del dipendente per come consentito dalla legge 104 del 92, per dare assistenza con carattere di continuità a parente o affine entro il terzo grado che versa in condizione di handicap, l’inciso “ove possibile”, contenuto nella legge, sta a significare che deve sussistere la disponibilità nella dotazione di organico della sede della PA di destinazione del posto in ruolo ricoperto dall’interessato che chiede il trasferimento, per il suo proficuo utilizzo. In altre parole, se manca detta qualifica lavorativa, non è possibile ottenere il trasferimento [5].

Per il trasferimento di un pubblico dipendente, dallo stesso richiesta ai sensi della legge 104 onde consentirgli di provvedere ad un familiare portatore di handicap, deve essere necessaria un’assistenza effettiva, e non solo morale, già in atto; inoltre, le esigenze assistenziali del disabile devono essere valutate con riferimento all’intero contesto familiare nel quale è inserita la persona disabile ed ai soggetti tenuti all’assistenza nei suoi confronti [6].

Non si computano, ai fini della “tredicesima” o della “gratifica natalizia”, i permessi previsti dalla legge 104 del 1992 [7] solo nei casi in cui essi debbano cumularsi effettivamente con il congedo parentale ordinario - che può determinare una significativa sospensione della prestazione lavorativa – e con il congedo per malattia del figlio, per i quali compete un’indennità inferiore alla retribuzione normale (diversamente dall’indennità per i permessi della legge 104 commisurata all’intera retribuzione). Tale interpretazione risulta idonea ad evitare che l’incidenza sulla retribuzione possa essere di aggravio della situazione dei congiunti del portatore di handicap e disincentivare l’utilizzazione del permesso [8].

[1] Cass. sent. n. 27232 del 22.12.2014.

[2] Cons. St. sent. n. 4200 del 6.08.2014.

[3] Legge 4 novembre 2010 n. 183 che ha modificato l’art. 33, l. 5 febbraio 1992 n. 104.

[4] Cons. St. sent. n. 4200 del 6.08.2014.

[5] Cons. St. sent. n. 4085 del 1.08.2014.

[6] Cons. St. sent. n. 3303 del 2.07.2014.

[7] In forza del richiamo operato dal successivo comma 4 all’ultimo comma dell’art. 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (abrogato dal d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, che ne ha tuttavia recepito il contenuto negli artt. 34 e 51).

[8] Cass. sent. n. 15435 del 7.07.2014.

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