Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Il Sen. Battista del Gruppo per le Autonomie. Segretario commissione difesa Senato,  ha presentato il 3 dicembre scorso una mozione in cui tra l'altro impegna il Governo: ad adottare tutte le misure necessarie al fine di assicurare l'effettivo godimento dei diritti riconosciuti, in materia di libertà sindacale, agli appartenenti alle forze armate, ai sensi dell'art. 11 della Convezione europea dei diritti dell'uomo, riconoscendo loro gli effettivi diritti di azione sindacale nei momenti di pace, ossia quando non siano impegnate in operazioni di carattere militare. Inoltre chiede di intraprendere le opportune iniziative anche di carattere legislativo volte al riconoscimento dei diritti associativi e sindacali per gli appartenenti alle forze armate, nel rispetto dei dettami costituzionali, allo scopo di uniformarsi alla maggior parte degli Stati europei, tenuto conto della recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. 

 

Questo il testo della mozione:

Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 1-00361


Atto n. 1-00361

Pubblicato il 3 dicembre 2014, nella seduta n. 364

BATTISTA , ZELLER , PALERMO , ZIN , ORELLANA , MANCONI , CASSON , PUPPATO , MINEO , RICCHIUTI

Il Senato,

premesso che:

l'articolo 39 della Costituzione sancisce il principio di libertà sindacale, ossia il diritto per ogni cittadino, a prescindere dal suo status sociale, di organizzarsi liberamente per la tutela dei propri interessi lavorativi, intenso primariamente come diritto soggettivo pubblico di libertà, nei confronti dello Stato e dei poteri pubblici;

ai sensi dell'articolo 52 della Costituzione, l'ordinamento militare si deve conformare allo spirito democratico, di cui il diritto sindacale è uno dei cardini fondamentali;

il codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010, Libro IV, Titolo IX, regola l'esercizio dei diritti dei militari, ivi inclusa la disciplina in materia di libertà sindacale degli appartenenti alle forze armate;

nel corpus normativo, è confluita la normativa previgente in ambito militare, tra cui la legge n. 382 del 1978, recante "Norme di principio sulla disciplina militare";

essa istituiva gli organismi rappresentativi del personale militare (rappresentanze militari), articolati su 3 livelli: i consigli di base della rappresentanza militare (COBAR), i consigli intermedi di rappresentanza (COIR) e il consiglio centrale della rappresentanza militare (COCER), attualmente disciplinati dal codice dell'ordinamento militare (artt. 1476 e seguenti);

i consigli della rappresentanza militare si configurano come un sottosistema dell'organizzazione militare. Essi sono organi di natura pubblica, direttamente istituiti con legge, difettano infatti di un soggetto autenticamente sindacale;

il loro legame con l'organizzazione militare è peraltro confermata dal fatto che tali organismi si riuniscono nell'ambito dei luoghi militari o comunque destinati al servizio e che ai componenti dei COCER spettano i compensi previsti dall'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 5 del 1956 (cosiddetti gettoni di presenza), con la conseguenza che lo svolgimento di attività rappresentative è considerato a tutti gli effetti come "servizio", non già come attività sindacale;

premesso altresì che:

ai sensi dell'art. 1475, comma 4, del decreto legislativo n. 66, "I militari non possono esercitare il diritto di sciopero". Analogamente, ai sensi del comma 2, ai militari è fatto inoltre divieto di "costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali". In ogni caso, il comma 1, stabilisce che "La costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministero della difesa";

l'art. 1478, comma 4, del codice dell'ordinamento militare disciplina i compiti delle rappresentanze militari e in particolare le competenze del COCER, attribuendogli la facoltà di formulare pareri, richieste e proposte riguardanti le materie oggetto di norme o regolamenti in merito alla condizione, il trattamento, la tutela di natura giuridica, economica, previdenziale, sanitaria, culturale e morale dei militari;

i pareri, le proposte e le richieste vengono comunicati al Ministro della difesa che li trasmette per conoscenza alle Commissioni permanenti competenti per materia dei due rami del Parlamento. È inoltre previsto che le stesse Commissioni possano fare richiesta di audire l'organo centrale relativamente alle materie di pertinenza della rappresentanza militare;

come previsto dall'art. 878, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, sono espressamente escluse dalle competenze degli organismi rappresentativi le materie concernenti l'addestramento, l'ordinamento, le operazioni, il settore logistico operativo, il rapporto gerarchico-funzionale, l'impiego del personale, ossia gli aspetti più salienti del rapporto professionale e che in misura maggiore incidono sul benessere del personale;

considerato che:

la questione di legittimità costituzionale del divieto assoluto, imposto dalla legge n. 382 del 1978, in capo agli appartenenti alle forze armate, di costituire associazioni professionali a carattere sindacale o di aderire ad associazioni sindacali esistenti è già stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale;

la Corte si è pronunciata, in tempi non recenti, con la nota sentenza n. 449 del 13 dicembre 1999, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge n. 382, nella parte in cui vieta agli appartenenti alle forze armate di costituire associazioni professionali a carattere sindacale e di aderire ad altre associazioni sindacali;

la sentenza ribadisce il principio secondo il quale «La garanzia dei diritti fondamentali di cui sono titolari i singoli "cittadini militari" non recede quindi di fronte alle esigenze della struttura militare; sì che meritano tutela anche le istanze collettive degli appartenenti alle Forze Armate (...), al fine di assicurare la conformità dell'Ordinamento militare allo spirito democratico. Il rilievo che la struttura militare non è un ordinamento estraneo, ma costituisce un'articolazione dello Stato che in esso vive, e ai cui valori costituzionali si informa (…), non consente tuttavia di ritenere illegittimo il divieto posto dal legislatore per la costituzione delle forme associative di tipo sindacale in ambito militare. Se è fuori discussione, infatti, il riconoscimento ai singoli militari dei diritti fondamentali, che loro competono al pari degli altri cittadini della Repubblica, è pur vero che in questa materia si deve considerare soltanto il rapporto di impiego del militare con la sua amministrazione e, quindi, l'insieme dei diritti e dei doveri che lo contraddistinguono e delle garanzie (anche di ordine giurisdizionale) apprestate dall'ordinamento. Qui rileva nel suo carattere assorbente il servizio, reso in un ambito speciale come quello militare (art. 52, primo e secondo comma, della Costituzione)»;

la Corte costituzionale ha altresì rilevato che la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 8 della legge n. 382 del 1978 (disciplina attualmente ricompresa dall'art. 1475 del codice dell'ordinamento militare), ossia della disposizione che vieta ai militari di costituire associazioni professionali di carattere sindacale «aprirebbe inevitabilmente la via a organizzazioni la cui attività potrebbe risultare non compatibile con i caratteri di coesione interna e neutralità dell'ordinamento militare»;

la Corte europea dei diritti dell'uomo, il 2 ottobre 2014, ha emesso due sentenze storiche: la sentenza nel caso Matelly vs Francia (ricorso n. 10609/10) e la sentenza nel caso ADEFDROMIL vs Francia (ricorso n. 32191/09) in materia di divieto assoluto di costituire sindacati all'interno delle forze armate francesi;

in particolare, la Corte europea ha ritenuto che mentre l'esercizio del diritto di libertà di associazione da parte del personale militare potrebbe essere soggetto a restrizioni legittime, per contro, un divieto generale di formare o aderire ad un sindacato usurpa l'essenza stessa di tale libertà;

per questi motivi, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto all'unanimità che vi sia stata una violazione dell'art. 11 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, relativamente alla libertà di riunione e di associazione, che garantisce il diritto alla libertà di associazione e il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati o di aderirvi per la tutela dei propri interessi, in quanto il divieto, imposto dalla legge, di costituire associazioni professionali a carattere sindacale o di aderire ad associazioni sindacali già esistenti costituisce una restrizione assoluta all'esercizio della libertà sindacale da parte degli appartenenti alle forze armate, che non risponde ad una prevalente finalità di interesse generale e che non può giustificarsi neppure alla luce delle specificità proprie dei corpi militari dello Stato;

il dispositivo della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo capovolge completamente quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la citata sentenza del 1999. Esso prevede infatti che le restrizioni legislative debbano essere interpretate rigorosamente ed essere limitate all'esercizio dei diritti in questione, senza tuttavia pregiudicare l'essenza stessa del diritto di organizzarsi;

la tutela della libertà sindacale trova spazio, in primis, nell'ambito dell'Unione europea. A tal riguardo occorre senz'altro menzionare la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta di Nizza) del 7 dicembre 2000, adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 ed avente lo stesso valore giuridico dei trattati ai sensi dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea;

l'art. 12 della Carta riconosce ad ogni individuo il diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, ivi incluso il diritto di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi;

più nello specifico, per quanto concerne la libertà di associazione e azione sindacale degli appartenenti alle forze armate, il Parlamento europeo ha espressamente affrontato la questione con una risoluzione adottata in data 12 aprile 1984. In tale occasione, il Parlamento ha invitato tutti gli Stati membri dell'allora Comunità economica europea (oggi Unione europea) ad accordare ai propri militari, in periodi di pace, il diritto di fondare associazioni professionali per la salvaguardia dei loro interessi sociali, di aderirvi e di svolgervi un ruolo attivo;

anche il Consiglio d'Europa si è più volte pronunciato in tema di diritti sociali, mostrando, in molteplici occasioni, particolare attenzione al fenomeno associativo in relazione agli appartenenti alle forze armate;

la libertà di associazione e di azione sindacale per i membri delle forze armate è stata, infatti, oggetto di alcune risoluzioni adottate dall'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Prima fra tutte la risoluzione n. 903 del 1988, la quale richiama l'attenzione degli Stati membri sul fatto che gli appartenenti alle forze armate dovrebbero essere considerati a tutti gli effetti come "cittadini in divisa" e non dovrebbero essere discriminati in ragione della sola appartenenza ad un Corpo militare, risultando isolati dalla società democratica;

la questione è stata affrontata nella successiva raccomandazione n. 1572 del 2002. In tale occasione, il Consiglio d'Europa ha rinnovato l'invito nei confronti degli Stati membri a garantire agli appartenenti delle forze armate il pieno ed effettivo godimento dei diritti di azione sindacale;

di analogo tenore risulta essere la risoluzione dell'assemblea parlamentare n. 1742 del 2006 (in materia di diritti umani dei membri delle forze armate), i cui principi sono stati poi ripresi anche dalla recente raccomandazione del Comitato dei ministri adottata il 24 febbraio 2010, CM/Rec(2010)4;

nell'ambito degli accordi predisposti in seno al Consiglio d'Europa, è fondamentale il richiamo alla Carta sociale europea riveduta (ratificata dall'Italia in seguito ad autorizzazione disposta con la legge n. 30 del 1999);

l'art. 5 della stessa Carta pone in capo agli Stati l'obbligo di determinare in via legislativa o regolamentare la misura in cui la libertà di associazione e di adesione ad organizzazione sindacali, sancita dalla Carta, trovi applicazione nei confronti degli appartenenti alle forze armate;

considerato altresì che:

la rappresentanza militare è un organismo dell'organizzazione militare e pertanto compreso nel sistema gerarchico-disciplinare, finendo di fatto per essere un mero strumento consultivo delle autorità di comando;

la rappresentanza militare non può essere in alcun modo considerata alla stregua di un'organizzazione sindacale, laddove per quest'ultima si intenda un'organizzazione deputata a svolgere attività negoziale esclusiva. La stessa natura della rappresentanza militare, in quanto assoggettata all'organizzazione militare, le vieta di essere in contrapposizione con l'amministrazione della difesa;

risulta evidente che la rappresentanza militare difetta dei caratteri dell'autonomia e dell'indipendenza, elementi indefettibili di qualsivoglia associazione, stante la natura profondamente gerarchizzata dell'intera struttura rappresentativa. Tale mancanza, dunque, compromette irrimediabilmente la democraticità dell'istituzione;

la struttura e le competenze degli organismi in discussione rilevano, senza alcun dubbio, una dipendenza sia funzionale che finanziaria dai vertici della difesa, in tal modo rappresentando una tipologia di sindacato, il "sindacato di comodo" espressamente vietata dall'art.17 dello statuto dei lavoratori di cui alla legge n. 300 del 1970;

per sindacati di comodo (o sindacati gialli) si intendono quelle associazioni sindacali costituite e sostenute dai datori di lavoro e dalle loro associazioni. L'esistenza di tali organizzazioni è vietata dalla legge in quanto comprime la libertà sindacale e ne limita gli spazi per un'attività e un'organizzazione effettivamente genuina. Ciò che il nostro ordinamento ritiene strumento antigiuridico è il rapporto di asservimento dei sindacati di comodo al datore di lavoro;

tenuto conto che:

AS.SO.DI.PRO (Associazione di promozione sociale) e diversi organismi della rappresentanza militare della Guardia di finanza hanno presentato rispettivamente nel 2012 e nel 2013 alla Corte europea dei diritti dell'uomo dei ricorsi volti ad affermare il principio secondo il quale anche gli appartenenti alle forze armate italiane, alla stregua di quanto previsto in altri Stati membri dell'Unione europea, possano e debbano esercitare il diritto costituzionalmente garantito di associarsi in organizzazioni sindacali;

ben 12 Stati membri dell'Unione hanno delle vere e proprie rappresentanze sindacali per le proprie forze armate, con un totale di 17 sigle e 20 associazioni a carattere militare;

la Germania ha un sindacato con circa 206.000 militari iscritti, pari all'86 per cento di tutta la forza organica;

in Austria e Svezia, seppur con delle legittime limitazioni, è addirittura ammesso il diritto di sciopero;

nel Regno Unito, non esiste un sindacato dei militari, ma questi sono liberi di associarsi a quello che ritengono maggiormente consono alla tutela dei propri diritti;

tenuto conto altresì che:

particolarmente rilevanti in materia appaiono i principi sanciti in seno all'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), nel cui ambito sono state predisposte numerose convenzioni a tutela della libertà di associazione, ivi inclusa la libertà sindacale;

in tale contesto, le convenzioni n. 87 del 1948 e n. 98 del 1949 (ratificate dall'Italia in seguito ad autorizzazione disposta con la legge n. 367 del 1958) prescrivono, premesso l'ovvio diritto dei lavoratori di dar vita ad organizzazioni senza alcuna autorizzazione e di iscriversi ad esse, agli artt. 5 e 9, che la legislazione nazionale dovrà determinare la misura delle garanzie previste dalla presente convenzione per quanto si riferisce alla loro applicazione alle forze armate e alla polizia;

il principio enucleato all'interno di tali disposizioni è stato da ultimo ribadito nella convenzione OIL n. 151 del 1978 sulle relazioni di lavoro nella funzione pubblica (ratificata dall'Italia in seguito ad autorizzazione disposta con la legge n. 862 del 1984);

ne consegue, dunque, che le restrizioni eventualmente previste dagli Stati membri all'esercizio dei diritti sindacali da parte degli appartenenti alle forze armate non devono avere carattere di divieto assoluto, quanto piuttosto determinare il perimetro entro cui iscrivere l'azione sindacale all'interno del comparto militare;

alla luce di quanto sin qui esposto, il sistema delle rappresentanze militari disciplinato dal decreto legislativo n. 66 del 2010 appare profondamente incompleto e, lungi dal proporsi come stato di avanzamento embrionale del fenomeno sindacale, è la totale negazione di quello stesso fenomeno. Tali organi non sono in alcun modo equiparabili ai sindacati e non possono costituire una valida alternativa rispetto alla privazione assoluta della libertà sindacale,

impegna il Governo:

1) ad adottare tutte le misure necessarie al fine di assicurare l'effettivo godimento dei diritti riconosciuti, in materia di libertà sindacale, agli appartenenti alle forze armate, ai sensi dell'art. 11 della Convezione europea dei diritti dell'uomo, riconoscendo loro gli effettivi diritti di azione sindacale nei momenti di pace, ossia quando non siano impegnate in operazioni di carattere militare;

2) ad attivarsi al fine di rimuovere gli ostacoli inerenti ai profili costitutivi, strutturali e funzionali delle rappresentanze militari, che si appalesano quali atti di ingerenza nella libertà di organizzazione di cui devono beneficiare anche i nostri militari, atti di ingerenza che risultano chiaramente vietati dalla medesima convenzione OIL n. 151 del 1978 (art. 5), ratificata dall'Italia con la già citata legge n. 862 del 1984;

3) ad intraprendere le opportune iniziative anche di carattere legislativo volte al riconoscimento dei diritti associativi e sindacali per gli appartenenti alle forze armate, nel rispetto dei dettami costituzionali, allo scopo di uniformarsi alla maggior parte degli Stati europei, tenuto conto della recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Argomento: 
Parlamento