Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

La vicenda dell'applicazione dell’articolo 54 del DPR 1092/1973 sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato è arrivata al limite della sopportazione. Di Maio impartisca all'INPS le disposizioni necessarie per impedire un grave danno sulla pensione dei militari. Così il Sen. D'arienzo in una interrogazione al Ministro del Lavoro Di Maio.

 

 

""La vicenda è nota, afferma il senatore  PD D'arienzo in un comunicato: l'art. 54 prevede l’applicabilità dell'aliquota del 44% per cento per il calcolo della quota di pensione retributiva spettante al personale militare che avesse maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile, ad eccezione dei graduati e dei militari di truppa non appartenenti al servizio continuativo aumentata di 1,80 per cento per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo.

Al contrario, l'INPS continua ad applicare l’articolo 44 del medesimo DPR che stabilisce, invece, per il calcolo della pensione spettante “al personale civile con l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo”, l’applicazione dell'aliquota del 35% per il calcolo della quota di pensione retributiva spettante per chi avesse maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile.

In questo modo l'INPS sta arrecando un greve danno economico a migliaia di persone. Eppure, le varie riforme pensionistiche intervenute successivamente non hanno modificato o abrogato il decreto del 1973. Anche l'articolo 1867, comma 2, del Codice Ordinamento Militare, approvato nel 2010, conferma la vigenza, per il personale militare, dell'art. 54 nonostante sia stato introdotto il sistema contributivo a partire da 1996 ex legge n. 335 del 1995.

Infatti, l’I.N.P.D.A.P., fino al 31 dicembre 2011, quando è confluita in I.N.P.S., ha sempre attuato l'art. 54, perché oggi non è più così?

L'erronea interpretazione applicata dall’I.N.P.S., oltre a privare coloro che cessano con un massimo di venti anni di servizio della percentuale maggiorata, inficia il riconoscimento che spetta al militare dell’aliquota dell’1.80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo, come stabilito dal comma 2 dell'articolo 54.

E' consapevole il Ministro del Lavoro che in questo modo si umilia e si disconosce la specificità che la legge assegna alle Forze di polizia e alle Forze Armate in ragione del loro particolare impiego? Si rende conto Di Maio che questa posizione comprime e nega le aspettative economiche ed i diritti maturati dai militari? Infatti, rapportando su base annua la percentuale di rendimento, se per il personale civile l’aliquota è del 2,33% annuo per i primi 15 anni in conformità all’art.44, comma 1, per il personale militare, invece, detta aliquota è del 2,93%.

Le ragioni dell'INPS, peraltro, sono state sonoramente sconfitte, da ultimo con le sentenze 422/2018, 197 e 208 entrambe del 2019, la prima e la seconda Sezione Centrale di Appello della Corte dei Conti - le uniche decisioni finora registrate al secondo livello di giurisdizione contabile.

Ho presentato - conclude D'Arienzo - un'interrogazione parlamentare chiedendo al Ministro Di Maio di impartire direttive chiarificatorie all'Istituto nazionale della previdenza sociale sulla base delle decisioni assunte dalle citate Sezioni centrali di appello al fine di riconoscere al personale militare i benefici previsti dalla norma ingiustamente negati dall'Istituto medesimo".

 

IL TESTO DELLA INTERROGAZIONE PARLAMENTARE

 

INTERROGAZIONE

a risposta in Commissione 11ª (Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale)

 

 Al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali

Al Ministro della Difesa 

 Premesso che: 

l’articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica del 29 dicembre 1973, n. 1092 "Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato", prevede l’applicabilità dell'aliquota del 44 per cento per il calcolo della quota di pensione retributiva spettante al personale militare che avesse maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile, ad eccezione  dei graduati e dei militari di truppa non appartenenti al servizio continuativo;


l’articolo 44 del medesimo d.P.R. stabilisce, per il calcolo della pensione spettante “al personale civile con l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo”, l’applicazione dell'aliquota del 35% per il calcolo della quota di pensione retributiva spettante per chi avesse maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile. Detta percentuale è aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell'ottanta per cento;

le varie riforme pensionistiche intervenute successivamente non hanno modificato o abrogato il decreto del Presidente della Repubblica del 29 dicembre 1973, n. 1092;

l’I.N.P.D.A.P., fino al 31 dicembre 2011, quando è confluita in I.N.P.S., nel fornire istruzioni operative alle proprie strutture territoriali precisava che: “Il computo dell’aliquota di pensione spettante al personale militare è disciplinato dall’articolo 54 del Testo unico secondo cui la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno 15 anni e non più di 20 anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, aumentata di 1,80 per cento per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”;

l’I.N.P.S., invece, in sede di riconoscimento del trattamento pensionistico agli interessati ritiene che la quota di pensione retributiva spettante al personale militare vada calcolata come per il personale civile e cioè applicando l’aliquota del 35 per cento e non quella del 44 per cento;

in particolare, l’Istituto previdenziale ritiene che l’articolo 54 sarebbe riferibile alla sola fattispecie di cessazione dal servizio con “almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile” e non anche a quella di prosecuzione del servizio, dopo aver maturato quell’anzianità, ovvero non si applicherebbe al personale che abbia invece proseguito il servizio oltre il 20° anno;

considerato che:

la vicenda è stata oggetto più volte di decisioni delle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti il cui esito è stato piuttosto difforme a parità di requisiti dei ricorrenti; 

in ogni caso, in una sentenza favorevole al militare ricorrente, emessa dalla Sezione Corte dei Conti della Regione Sardegna, assume importante rilievo che l'erronea interpretazione applicata dall’I.N.P.S., oltre a privare coloro che cessino con un massimo di venti anni di servizio della percentuale maggiorata, inficia il riconoscimento che spetta al militare dell’aliquota dell’1.80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo, come stabilito dal comma 2 dell'articolo 54;

l'interpretazione dell'I.N.P.S. sta creando disorientamento ed in qualche caso un vero e proprio danno ai militari interessati;

considerato inoltre che:

va evidenziato e ribadito che l’articolo 44 non può trovare applicazione nei confronti del personale militare trattandosi di disposizione inserita nel Titolo III (“Trattamento di quiescenza normale”), Capo I (“Personale civile”), del richiamato d.P.R., e, quindi, dettata esclusivamente per il personale civile sicché non si comprende su quali basi l’ente previdenziale ritenga di estenderne l’ambito applicativo al personale militare cui, invece, fa espresso riferimento il successivo Capo II (“Personale militare”) all’interno del quale è contenuto, per l’appunto, l’articolo 54. Tale rilievo appare già di per sé idoneo a palesare l’incongruenza del modus operandi dell’I.N.P.S.; 

l'articolo 1867, comma 2, del Codice Ordinamento Militare, approvato nel 2010, conferma la vigenza, per il personale militare, dell'art. 54 nonostante sia stato introdotto il sistema contributivo a partire da 1996 ex legge n. 335 del 1995;

tenuto conto che:

con le sentenze 422/2018, 197 e 208 entrambe del 2019, la prima e la seconda Sezione Centrale di Appello della Corte dei Conti - le uniche decisioni finora registrate al secondo livello di giurisdizione contabile- hanno confermato che il beneficio va riconosciuto a favore dei militari;

nella sentenza 197/2019 assume fondamentale rilievo la parte in cui si legge: "...non è corretto l’impianto argomentativo dell’I.N.P.S. secondo cui l’aliquota del 44 per cento, sarebbe la risultante della somma di due componenti: il 35 per cento, derivante dall’applicazione dell’aliquota del 2,33 per cento fino a 15 anni, ed il 9 per cento, derivante dall’applicazione dell’aliquota al 1,8 per cento per i successivi 5 anni. Sicché, dopo il ventesimo anno l'aliquota continuerebbe ad essere quella del 1,8 per cento sino al conseguimento dell'80 per cento, aliquota massima conseguibile. In realtà, per l’inequivoco tenore letterale della disposizione, il 44 per cento della base pensionabile spetta al militare che cessi avendo compiuto 15 anni. Le anzianità superiori contenute entro il limite del ventesimo anno di servizio utile sono sostanzialmente neutre ai fini pensionistici."

la decisione dell'I.N.P.S. comprime e nega le aspettative economiche ed i diritti maturati dai militari così come riconosciuti dal d.P.R. 1092/1973; 

 si chiede di sapere:

quali azioni il ministro in indirizzo, considerato quanto premesso, intenda adoperare per riconoscere i diritti maturati dal punto di vista previdenziale dal personale militare;

se non ritenga opportuno impartire direttive chiarificatorie all'Istituto nazionale della previdenza sociale sulla base delle decisioni assunte dalle citate Sezioni centrali di appello al fine di riconoscere al personale militare i benefici previsti dalla norma ingiustamente negati dall'Istituto medesimo.

 

D'ARIENZO + altri 23 Senatori PD 

 
 

 
 

 

Argomento: 
Parlamento