Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Al ministro dell’Interno l’ho detto l’ultima volta a Ferragosto: sciolga la Dia e faccia rientrare nei corpi d’appartenenza i poliziotti, i carabinieri e i finanzieri. Lo ha affermato il capo della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, nel corso di un confronto pubblico tenutosi nei giorni scorsi in piazza a Diamante (Cosenza).

 

Immediata è stata la replica dell’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti: «Con tutto il rispetto per il collega Gratteri, di cui ho grande stima, devo dire che non mi sento di condividere questo giudizio. Intanto perché la DIA è un organismo investigativo, che dovrebbe raccogliere gli elementi più qualificati degli altri corpi di polizia e impiegarli nella lotta alla mafia. Fu concepita nel 1991 da Giovanni Falcone per affiancare la magistratura antimafia nelle indagini più delicate e complesse (…) la DIA non era nata per essere una quarta forza di polizia, ma una agenzia interforze, verso cui far confluire non solo gli uomini più qualificati, ma tutti i dati di indagine da parte delle altre forze di polizia. Per poterli rielaborare e rilanciare sotto forma di impulsi investigativi (…) e questa sua natura deve essere valorizzata, non certo annientata, perché è uno strumento in più contro le mafie. (…) Perché nella multidisciplinarietà e nel fatto di ricevere tutte le informazioni proprio da dette forze di polizia, sta la peculiarità di questo organismo e la sua perdurante utilità».

 

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La Direzione Investigativa Antimafia, istituita con L. 410/1991, fu concepita in un contesto di grave emergenza mafiosa[1]. Giovanni Falcone ne avvertì la necessità mentre cercava di fare luce sulle infiltrazioni mafiose all’interno delle istituzioni.

Il giudice, presumibilmente, ritenne che lo strumento investigativo di cui disponeva, nonostante fosse molto efficiente contro la manovalanza mafiosa, andasse rafforzato per combattere la mafia oltre un certo livello.

A tale scopo intervenne sulla dipendenza funzionale delle forze di polizia, stravolgendone le rispettive catene gerarchica; intrecciò e confuse nella nuova struttura interforze uomini appartenenti a tre differenti linee gerarchiche (Interno, Difesa e Finanze) e, per meglio custodirne l’autonomia, la pose al di fuori delle articolazioni gerarchiche e strutturali dei singoli Ministeri.

Sicché nella DIA, poliziotti, carabinieri e finanzieri sono inseriti, secondo il loro grado, in un’unica linea gerarchica posta alle dipendenze di una struttura centrale. Giovanni Falcone, probabilmente, pensò che in questo modo avrebbe preservato la “polizia giudiziaria interforze” da eventuali interferenze provenienti dalle singole gerarchie, il cui ultimo anello è posto in posizione di contiguità con l’autorità politica.

In relazione a tali supposte motivazioni alla base del progetto di Falcone, meriterebbe un serio approfondimento il monito lanciato qualche anno fa dalla rappresentanza militare della Guardia di Finanza Aeronavale -una specie di sindacato interno con poteri molto limitati: “Questo organismo ritiene che i rimedi offerti dal legislatore, solo sulla carta, per contrastare eventuali ordini criminosi, siano inadeguati e scarsamente attuabili.

L’inadeguatezza di tali rimedi potrebbe compromettere o quantomeno influenzare il libero articolarsi della dialettica democratica, attraverso cui si stabiliscono i fini dello Stato. E per di più, ci si chiede se, per assurdo, l’ordine promanasse dall’autorità politica di governo, l’ordinamento militare avrebbe gli anticorpi per contrastarne l’esecuzione?

Questo organismo ritiene che quegli anticorpi - previsti da norme di rango superiore - siano stati sterilizzati da norme di rango regolamentare, che ne hanno anestetizzati gli effetti[2] .

E poi i finanzieri aggiungono: “La direzione amministrativa dello strumento militare -il cosiddetto impiego e gestione del personale- prima che fossero istituiti gli Stati Maggiori era accentrata nelle strutture ministeriali ed era una prerogativa dell’autorità politica, la quale realizzava efficacemente i suoi scopi attraverso lo strumento della disciplina militare. Ancora oggi, in occasione delle nomine delle più alte cariche istituzionali in campo militare, si derogano le rigide procedure di assunzione dell’incarico di comando in relazione al grado rivestito e, a parità di grado, all’anzianità posseduta, privilegiando i criteri discrezionali attribuiti alle autorità decidenti. Le nomine avvengono su scelta politica[3]”.

 

Riassumendo, ritengo che Giovanni Falcone avesse intuito quello che di recente i magistrati di Caltanissetta hanno dimostrato e messo nero su bianco –ovvero, che le indagini sui mandanti occulti delle stragi di Stato sono ad alto rischio di depistaggio- e, proprio a seguito di questa sua intuizione, avesse concepito la Direzione Investigativa Antimafia.

Queste, in sintesi, le ragioni per le quali penso sia sbagliato sciogliere la Dia e far rientrare nei corpi d’appartenenza i poliziotti, i carabinieri e i finanzieri; la DIA, piuttosto, andrebbe potenziata e riformata sulla base del progetto originario di Giovanni Falcone.

 

Cleto Iafrate

Direttore del “Laboratorio delle idee” di Ficiesse

 

 

[1] La prima fase di operatività della DIA, però, fu segnata da una serie di difficoltà di carattere organizzativo, che rischiarono di minarne fortemente autonomia e incisività.

Oltre alle difficoltà di reperimento delle risorse umane -gli organi di polizia che svolgevano attività specifica era mal disponibili a cedere il personale più qualificato- ci furono inizialmente anche alcuni problemi di coordinamento con le altre autorità di Polizia.

A tal proposito, riporto uno stralcio dell’intervento di Luciano Violante in Commissione antimafia:

“(…) Devo dire che la DIA fu un'importante innovazione, che non fu ben tollerata dagli altri Corpi di polizia. Il coordinamento non lo può fare uno solo: ci vuole chi coordina e chi è coordinato. Se chi deve essere coordinato non si vuole far coordinare, c'è poco da fare. Ci sono moltissime ragioni per sfuggire al coordinamento e c'era una certa resistenza, da parte di tutti, nel farsi coordinare. Quindi l'idea di fondo, assolutamente centrale e importante (tale si è rivelata per molto tempo), è un'idea giusta che però non sempre è stata recepita dagli altri Corpi. (…) Esse però (DIA e DNA) sono state due grandi intuizioni, molto importanti per la lotta contro la mafia. E’ stato persino più facile realizzare un raccordo tra la Direzione nazionale antimafia e le autorità giudiziarie di quanto non sia stato realizzarlo tra la DIA e le autorità di Polizia” (Senato della Repubblica – 4 – Camera dei deputati Commissione antimafia 71º Resoconto Stenografico - 29 marzo 2011).

 

[2] Delibera 01/06/XI COBAR Gdf COAN (pag. 21): http://www.ficiesse.it/public/1967_deliberacobar.pdf

[3] Ibidem (nota 20).

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