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Anticipata dai quotidiani Il Mattino e La Repubblica, la missione militare italiana a Misurata avrà un carattere umanitario o, per meglio dire, sanitario.

Il governo ha infatti risposto positivamente alle richieste di Tripoli e soprattutto di Misurata (forse la città libica più strettamente legata all’Italia oltre che agli anglo-americani) che fin dall’avvio della campagna militare contro lo Stato Islamico a Sirte chiedevano un aiuto diretto per curare i numerosi feriti in combattimento.

 


di Gianandrea Gaiani

 

pubblicato in Analisi Italia
 

La tempistica non è proprio delle più fortunate.

Dopo mesi di esitazioni, da quando nel marzo scorso si è insediato nei pressi di Tripoli il governo di conciliazione nazionale guidato da Fayez a-Sarraj, Roma ha deciso di inviare in Libia un contingente di 300 militari e la notizia è trapelata proprio il giorno stesso in cui il generale Khalifa Haftar ha lanciato l’operazione “Lampo improvviso” .

Offensiva che ha permesso alle sue forze di strappare alle milizie fedeli a Tripoli i terminal petroliferi del Golfo della Sirte con il rischio d infiammare nuovamente, dopo il conflitto contro il regime di Muammar Gheddafi del 2011, tutto il Paese.

La missione italiana

Anticipata dai quotidiani Il Mattino e La Repubblica, la missione militare italiana a Misurata avrà un carattere umanitario o, per meglio dire, sanitario.

Il governo ha infatti risposto positivamente alle richieste di Tripoli e soprattutto di Misurata (forse la città libica più strettamente legata all’Italia oltre che agli anglo-americani) che fin dall’avvio della campagna militare contro lo Stato Islamico a Sirte chiedevano un aiuto diretto per curare i numerosi feriti in combattimento.

L’Italia ha fornito negli ultimi mesi medicinali e, tra gennaio e giugno, alcune decine di miliziani sono stati trasferiti all’ospedale militare romano del Celio grazie a tre voli dei C-130J dell’Aeronautica Militare. E’ stato però fin da subito evidente che la presenza di un ospedale da campo avrebbe permesso di affrontare meglio l’emergenza sanitaria determinata da un numero di feriti così elevato.

“La battaglia che hanno combattuto le forze di Misurata contro i terroristi di Daesh è stata molto impegnativa, con quasi 500 morti e oltre duemila feriti.

Ora hanno bisogno che l’Italia dia loro una mano lì perché dobbiamo poter curare questi valorosi combattenti contro il terrorismo e contro l’Isis” ha detto ieri il ministro della Difesa, Roberta Pinotti che oggi illustra la missione alle commissioni parlamentari di Esteri e Difesa insieme al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.

I militari, un centinaio di medici e paramedici dei reparti sanitari e circa 200 paracadutisti del 186° reggimento Folgore (nella foto sopra in missione in Afghanistan), partiranno nelle prossime ore da Livorno alla volta di Misurata a bordo della nave anfibia San Marco della Marina militare.

Le prime indiscrezioni sulla missione erano trapelate già in agosto quando a Misurata erano stati notati i militari italiani impegnati nella ricognizione tesa a individuare il luogo più idoneo a installare l’ospedale.

Da quanto appreso da Analisi Difesa dovrebbe trattarsi di un “compound” non distante dall’aeroporto della città e abbastanza ampio per ospitare alloggi, infrastrutture logistiche e un ospedale “Role 2” cioè una struttura sanitaria già impiegata in Iraq e Afghanistan concepita per supportare unità militari a livello brigata con elevata capacità di interventi chirurgici su ferite di guerra.

La base dovrebbe quindi trovarsi vicino alle principali strade ma esterna all’area urbana, per renderla più facilmente difendibile e meno esposta ad azioni terroristiche.

Non ci sono dettagli sulle diverse componenti ma è logico ipotizzare che i 200 paracadutisti includano una compagnia rinforzata di fanti su veicoli protetti Lince per la protezione del perimetro della base e la scorta ai convogli, con componenti logistiche e del genio per il contrasto agli ordigni esplosivi.

Perplessità

La missione a Misurata, come già quella irachena alla Diga di Mosul della Task Force Presidium, non persegue compiti tattici, non avrà un impatto sulle operazioni belliche contro lo Stato Islamico ma esporrà comunque centinaia di militari italiani in postazioni fisse al rischio di rappresaglie terroristiche, incursioni, bombardamenti con razzi, mortai e obici o attacchi alle colonne di veicoli.

Di fatto i 300 militari italiani saranno l’unico bersaglio fisso pagante a disposizione di miliziani e terroristi suicidi che in Libia volessero colpire i “crociati”, come l’Isis definisce i militari occidentali.

Rischi contro i quali ben difficilmente potranno offrire garanzie le milizie di Misurata, umiliate dalla tenacia e dalla combattività dimostrata dagli uomini del Califfato che dopo quattro mesi ancora resistono in qualche quartiere di Sirte pur se in forte inferiorità numerica.

Inoltre, alla luce degli ultimi eventi, vi sono buone probabilità che le milizie di Misurata si trovino presto a combattere contro le truppe del generale Khalifa Haftar che ha conquistato i terminal petroliferi del Golfo della Sirte.

Un contesto che trasformerebbe nuovamente la crisi libica in una guerra civile e che vedrebbe l’ospedale da campo e i paracadutisti a Misurata ricoprire giocoforza un ruolo di “belligeranti” al fianco di Tripoli e Misurata nel momento in cui il governo di Tobruk preme per stringere relazioni di spessore con Roma.

L’offensiva di Haftar

“Le forze armate libiche hanno preso il controllo dei porti petroliferi di Zueitina, Sidra e Ras Lanuf”. Il comunicato dell’esercito della Cirenaica guidato dal generale Khalifa Haftar, che risponde al governo e al parlamento di Tobruk, conferma il successo dell’offensiva lanciata all’alba dell’11 settembre nella cosiddetta “Mezzaluna petrolifera” del Golfo della Sirte che ha permesso di sottrarre i terminal del greggio alle Guardie delle Installazioni Petrolifere (PFG) di Ibrahim Jadhran che in giugno avevano dichiarato fedeltà al governo di conciliazione nazionale di Fayez al-Sarraj con sede a Tripoli, varato e sostenuto dall’Onu e da gran parte della comunità internazionale.

Fonti libiche hanno rivelato che buona parte degli uomini di Jadhran hanno risposto all’appello del generale Haftar a cedere le armi e a consegnare le infrastrutture petrolifere: a Sidra e Ras Lanuf le forze di Tobruk sono entrate quasi senza combattere catturando diversi blindati 3 carri armati (tipo T-55), 2 trasporto truppe e molte armi e munizioni mentre ad al-Zawitina (Zueitina) le Petroleum Facilities Guard avrebbero opposto per alcune ore una qualche resistenza.

A guidare l’offensiva sarebbero state le brigate 153 e 302 e i militari di quest’ultima unità hanno postato sui social network alcune foto della loro presenza negli uffici del porto di Zueitina.

Le Guardie petrolifere sono invece arretrate nella zona di Brega dove si troverebbe anche lo stesso Jadhran dopo che i militari di Tobruk hanno occupato il quartiere della sua famiglia a Ras Lanuf.

I militari di Tobruk sostengono che anche Brega sia caduta completamente nelle loro mani. “I porti sono ora sotto il controllo totale dell’esercito libico che li hanno messi in sicurezza” ha reso noto il comando dell’Esercito Nazionale Libico.

“Per proteggere le persone e la loro ricchezza contro la corruzione, il vostro esercito ha condotto un’operazione grandiosa e ha imposto il suo controllo totale ai porti petroliferi di Zueitina, Ras Lanuf, Sidra e Brega. Il funzionamento e la gestione di questi porti tornerà alla compagnia nazionale del petrolio, e non ci sarà alcun intervento sulle esportazioni o la conclusione di accordi commerciali da parte dell’esercito che si occuperà solamente della protezione” dei porti.

Il portavoce dell’Esercito Nazionale Libico, Ahmed al Mismari, ha chiesto alla compagnia petrolifera nazionale National Oil Company (Noc) di prendere il controllo dei terminal per riprendere le operazioni di esportazione del greggio, assicurando che le forze armate non interferiranno con le operazioni di vendita del petrolio.

Il portavoce delle Guardie petrolifere libiche, Ali al Hasi, ha denunciato che “a combattere al fianco delle truppe di Khalifa Haftar ci sono miliziani sudanesi e ciadiani”, altre voci riferiscono di un ruolo consistente di forze egiziane e degli Emirati Arabi Uniti al fianco delle truppe di Haftar mentre l’emittente al-Jazira (qatariota e vicina al governo di Tripoli) sostiene che a guidare l’offensiva vi siano quattro ufficiali che fecero parte dell’esercito di Muammar Gheddafi.

Il successo dell’offensiva lampo di Haftar sembra puntare a sfruttare il momento di debolezza delle milizie legate al governo di Tripoli (soprattutto quelle di Misurata), impegnate da quattro mesi nell’estenuante assedio di Sirte dove ancora combattono i miliziani dello Stato Islamico, per mettere le mani sui terminal e gestire per conto del governo di Tobruk l’export di greggio.

Un colpo durissimo per il debole esecutivo di Tripoli, varato e sostenuto dall’Onu ma osteggiato da molte milizie islamiste nella stessa capitale.

Il controllo dei terminal della “Mezzaluna petrolifera” rappresenta infatti l’unica speranza per il governo di Tripoli di riprendersi economicamente tramite la ripresa delle esportazioni di greggio, forse l’unica chanche di tenere in piedi il suo governo.

La produzione petrolifera libica è crollata e oggi arriva a stento ai 200mila barili al giorno, un decimo di quella registrata prima della guerra del 2011 che portò alla morte di Muammar Gheddafi.

La debolezza di Tripoli sembra emergere anche dalla reazione di al-Sarraj (nella f0to a lato) che non chiude i ponti con Haftar ma gli chiede di controllare questi ultimi per conto del governo di Tripoli.

Ambiguamente al-Sarraj ha dichiarato che “qualsiasi fazione voglia proteggere i terminal di petrolio e le istituzioni dello Stato deve farlo basandosi sulla legittimità del governo di riconciliazione che è l’unico legittimo nel paese” invitando tutti i libici “a restare uniti per combattere contro il terrorismo e le forze straniere, una guerra civile non gioverebbe a nessuno”.

Del resto sl-Sarraj non dispone di un esercito e può solo chiedere la mobilitazione delle milizie di Misurata e delle fazioni islamiste che riconoscono il suo governo.

Il Consiglio di presidenza del governo di Tripoli ha affermato in una nota che “l’attacco ai terminal di petrolio contrasta con il processo di riconciliazione nazionale e fa cadere le speranze dei libici nella realizzazione della stabilità”.

Al termine di una riunione d’urgenza convocata ieri sera, l’organismo esecutivo libico ha riferito che la questione deve essere “esaminata con saggezza cercando di salvare vite umane e l’unità nazionale”.

Per il Consiglio presidenziale “ci sono forze straniere che stanno approfittando dell’occasione in alcune zone strategiche e vitali”, con un evidente riferimento a egiziani ed emiratini.

Più bellicose invece le reazioni postate su Facebook dal governo di Tripoli in cui si legge che “abbiamo chiamato a raccolta tutte le unità militari in particolare della zona di Agedabia e di Sirte, che combattono il terrorismo rappresentato dall’Isis, affinché riprendano i terminal petroliferi”.

La nota del governo di al-Sarraj definisce l’attacco di domenica “un’aggressione alla sovranità nazionale e un atto di ostilità aperta agli interessi del popolo libico” e chiede alle truppe di Haftar “di ritirarsi subito da tutte le postazioni che hanno attaccato”.

In questo contesto l’inviato dell’Onu in Libia, Martin Kobler, si è detto molto preoccupato per quanto sta avvenendo e in un messaggio su Twitter ha scritto che “questa vicenda non farà altro che aumentare la divisione e fermare le esportazioni di petrolio, il petrolio di tutti i libici”.

Per Kobler “le divergenze vanno risolte solo tramite il dialogo e non i combattimenti. Invito tutte le parti a sedersi insieme. La Libia ha bisogno di un esercito unitario”.

Più duri ed espliciti i governi di Francia, Germania, Italia, Spagna, Stati Uniti e Regno Unito che hanno condannato l’offensiva di Haftar chiedendo l’immediato ritiro delle sue truppe.

“Facciamo appello a tutte le forze militari che sono entrate nella Mezzaluna petrolifera a ritirarsi immediatamente, senza precondizioni” si legge in una dichiarazione congiunta che ribadisce la volontà di “applicare la Risoluzione 2259 del Consiglio di Sicurezza.

Incluse misure contro l’illecita esportazione di greggio” la cui “produzione ed esportazione devono rimanere sotto l’esclusivo controllo della National Oil Corporation (NOC) che agisce sotto l’autorità del Governo di accordo nazionale”.

Prospettive

Difficile però ritenere che Haftar abbia scatenato l’offensiva lampo “al buio” senza tenere conto dell’inevitabile condanna di gran parte della comunità internazionale.

Nei prossimi giorni sarà forse possibile comprendere se le milizie di Misurata e altre che riconoscono al-Sarraj sono davvero pronte a combattere contro le truppe di Haftar nella “Mezzaluna petrolifera” o se attenderanno invece la fine della lunga battaglia di Sirte contro l’Isis in cui hanno registrato circa 500 caduti e oltre 2mila feriti.

Occorrerà inoltre valutare le reali intenzioni di al-Sarraj e dello stesso Haftar, che potrebbe attendere la fine della resistenza dell’Isis a Sirte per cercare di conquistare la città che diede i natali a Gheddafi.

Un’ipotesi non certo remota evidenziata anche da Mattia Toaldo, analista del’ European Council on Foreign Relations (Ecfr), che in una intervista all’ANSA ha sottolineato che “se è cruciale per le forze di Sarraj riconquistare i terminal petroliferi in Cirenaica, dove viene stoccata la gran parte dell’oro nero destinata all’export, altrettanto importante per Haftar sarebbe mettere i piedi a Sirte che è “la porta della Tripolitania”.

Il generale oltretutto appartiene alla tribù Ferjani, la seconda più importante di Sirte e tra le sue truppe ci sono molti ex-gheddafiani: per loro prendere Sirte significherebbe “tornare a casa”.

Il ischio di un conflitto allargato è condiviso dagli analisti britannici del Jane’s che a valutazioni militari uniscono però riflessioni più ampie che investono gli equilibri relativi al mercato del greggio e alle sue quotazioni.

Il generale Haftar ha preso il controllo di tre porti petroliferi per “poterli utilizzare come strumento per trattare con il governo di unità nazionale di Tripoli” ma “il controllo del settore petrolifero orientale riduce l’incentivo delle fazioni che si combattono in Libia a raggiungere un accordo.

Anzi, la conquista dei terminali, e l’eliminazione dello Stato islamico da Sirte, se da una parte riduce la minaccia immediata alle risorse petrolifere, dall’altra aumenta la probabilità di nuovi combattimenti fra le fazioni dell’Est e dell’Ovest nell’arco dei prossimi dodici mesi”.

Le strutture conquistate, soprattutto i porti di Ras Lanuf e  Sidra, hanno un potenziale enorme nella distribuzione del greggio libico, con una capacità di traffico pari a 700 mila barili al giorno.

Secondo il Jane’s l’incognita libica sul fronte produttivo appare sempre più cruciale nelle strategia dell’Opec poichè un eventuale ritorno della produzione ai livelli precedenti la guerra del 2011 non farebbe che rendere più difficile l’adozione di quei tagli invocati da alcuni membri per riportare in alto i prezzi del greggio.

Al di là dei complessi interessi in gioco il dilagare di una guerra aperta tra i due governi libici nell’area tra Sirte e i terminal petroliferi riaprirebbe anche il fronte di Tripoli dove le milizie di Zintan (alleate di Haftar nell’ovest della Tripolitania) potrebbero puntare a conquistare la capitale.

Opzioni che farebbero inevitabilmente sprofondare tutta la Libia in un lungo conflitto mandando a monte ogni speranza di stabilizzare, almeno parzialmente, l’ex colonia italiana.

 

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