Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

L'8 maggio i giudici della Corte Costituzionale si sono riuniti per stabilire, se è lecito che uno statale debba attendere anche sette anni per avere la sua liquidazione. Una sentenza molto attesa che arriva dopo una battaglia durata anni «Oggi la Corte Costituzionale decide se Tfs e Tfr nel pubblico impiego sono un sacrosanto diritto al pari del privato o se sono un prestito da chiedere alle banche. Perché in questo si è trasformato il legittimo diritto alla propria buonuscita per decine di migliaia di lavoratori pubblici», dice Massimo Battaglia, Segretario generale della Federazione Confsal-UNSA. Questa è la seconda volta che l’UNSA arriva alla Corte Costituzionale per sottoporre la questione al vaglio di costituzionalità. «I dipendenti pubblici – continua Battaglia – si aspettano che la Corte, dopo aver dato avvertimento nell’altra sentenza al Parlamento di rivedere la materia pensionistica, faccia giustizia e metta ordine a una normativa che vede il pubblico impiego non solo penalizzato ma anche discriminato rispetto ai lavoratori del privato che, all’atto del pensionamento, attendono solo 3 mesi per ottenere la loro liquidazione.

La storia

Era stato il governo Monti, dopo la crisi dello spread del 2011, ad autorizzare il pagamento differito del Tfs-Tfr ai dipendenti pubblici per dare respiro alle finanze dello Stato. Ma già nel 2019 una sentenza della Suprema Corte aveva stabilito che fosse sacrificabile il diritto del lavoratore pubblico alla liquidazione solo nei casi di cessazione anticipata dal lavoro. Anche il Tar del Lazio, esattamente un anno fa, aveva sollevato la questione di legittimità delle norme che attualmente dilazionano il pagamento del Trattamento di fine servizio dei pubblici dipendenti rispetto alla tempistica prevista per il privato, che invece percepisce il Trattamento di fine rapporto già al momento del collocamento in pensione.

 

Oggi gli statali aspettano anche 7 anni prima di incassare la liquidazione e con l’inflazione che galoppa ciò si traduce in un taglio dell’assegno corposo. Anche del 30%. Unica scorciatoia: i prestiti delle banche convenzionate (che però non vanno oltre i 45mila euro e che al momento costano di interessi attorno ai 1.500-2.000 euro) e i finanziamenti Inps (che anticipa l’intero ammontare della liquidazione però anche in questo caso c’è un prezzo da pagare tra interessi e spese amministrative). «Troviamo vergognoso che ci siano lavoratori che dopo oltre 40 anni di lavoro debbano attendere ancora dai 2 ai 7 anni per ottenere il proprio Tfs-Tfr, con l’ulteriore danno di un’inflazione galoppante che impoverisce il valore stesso della buonuscita. Oggi ci attendiamo che giustizia venga fatta e che cessi questa discriminazione», afferma il Segretario generale della Federazione Confsal-UNSA. Se oggi la Corte Costituzionale dovesse dichiarare illegittimo il pagamento differito della liquidazione allora lo Stato dovrà reperire svariati miliardi di euro per pagare il Tfs agli statali in pensione. Insomma, l’Inps rischierebbe il tracollo: basti pensare che solo nel 2024 andranno in pensione circa 150 mila lavoratori della Pa per una spesa previdenziale superiore a 10 miliardi di euro. Ecco perché nella memoria difensiva depositata agli atti della Consulta l’istituto di previdenza prova a mandare la palla in corner facendo una distinzione tra il Tfs, ossia la liquidazione per i dipendenti assunti fino al 31 dicembre del 2000, e il Tfr, il trattamento di fine rapporto riservato a chi è stato assunto nel pubblico a partire dal primo gennaio del 2001, che in soldoni è una retribuzione differita trattenuta mensilmente dallo stipendio. 

Secondo i legali dell’Inps solo il Tfr degli statali potrebbe essere pagato immediatamente come avviene nel privato. Peccato che il Tfr, che è in vigore da soli 22 anni, non può ancora essere richiesto da nessun lavoratore pubblico. 

Ora si deve attendere il deposito della sentenza

 

Argomento: 
Attualità e Politica