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Una perdita media pro-capite di oltre 1.200 euro all’anno per 4,3 milioni di pensionati. Sono questi i primi calcoli effettuati dallo Spi-Cgil del taglio alla rivalutazione delle pensioni sopra quattro volte il trattamento minimo, allo studio del governo.

L’adeguamento delle pensioni al costo della vita subirebbe così una drastica riduzione in particolare per quei pensionati che hanno lavorato e versato i contributi per 40 anni e oltre e che non percepiscono affatto un assegno alto ma di 1.800 netti al mese.

Stiamo sostanzialmente parlando di pensioni di lavoratori dipendenti, frutto di una vita di lavoro e che ora rischiano di avere una rivalutazione di gran lunga inferiore a quella che dovevano percepire secondo la legge in vigore.

Il governo si appresta quindi a compiere l’ennesimo danno ai pensionati italiani utilizzandoli come bancomat per recuperare risorse e negando loro la possibilità di recuperare una parte del loro potere d’acquisto. (SPI CGIL)

 

Rassegna Stampa

Pensioni, l’aumento-trappola: “Si perdono 100 euro al mese”

L’adeguamento all’inflazione è stato tagliato per gli assegni sopra i 2.100 euro lordi mensili.

 

Secondo i calcoli dello Spi Cgil, i pensionati italiani col taglio deciso dal governo al meccanismo di perequazione degli assegni perderanno in media 1.200 euro l’anno. È vero che alle pensioni minime, oggi fissate a 524 euro, verrà riconosciuto un incremento più alto del previsto (120%), e che sino a 4 volte il minimo verrà riconosciuto il recupero pieno dell’inflazione maturata nel corso del 2022 pari al 7,3%, ma sopra la soglia dei 2.100 euro lordi al mese (1.700 netti) il recupero calerà molto velocemente col salire degli importi. E colpirà non solo i pensionati ricchi ma anche i percettori di assegni medi e medio-alti.

 

«Le pensioni? Con un piccolo espediente fanno vedere che le pensioni minime crescono un po’, 25 euro in due anni, però prelevano dalle pensioni 3 miliardi. Fanno cassa sui pensionati», ha denunciato ieri il leader del M5s, Giuseppe Conte. «A casa ci sono persone che prendono 3 o 4 volte la minima e la rivalutazione gli viene tagliata dopo che hanno versato per tutta una vita».

Rispetto al meccanismo in vigore sino ad oggi, in effetti, stando alla bozza della legge di Bilancio circolata ieri ed ormai quasi completata, il taglio è molto pesante visto che da tre fasce si passa a sei. A guadagnarci, come detto, saranno le pensioni integrate al minimo. Che non saliranno ai mille euro promessi da Berlusconi, ma neanche ai 600 euro pieni di cui si era vociferato lunedì dopo il vertice di maggioranza che ha preceduto il Consiglio dei ministri. Si fermeranno a quota 570 euro, per effetto di una perequazione del 120% che in realtà assegna a questa fascia di pensionati, in tutto circa 2,5 milioni di soggetti, appena 8 euro in più del dovuto. A loro, infatti, andrà un aumento pari all’8,8% anziché del 7,3% come stabilito nei giorni scorsi dal ministero dell’Economia per tutti gli assegni Inps. Nel prossimo anno otterranno una maggiorazione di 1,5 punti che poi nel 2024 salirà di altri 2,7 punti.

I pensionati i cui assegni arrivano sino a 4 volte l’assegno sociale (ovvero 2.100 euro) andranno in pari ed avranno il 100% di recupero dell’inflazione. Da qui in poi iniziano i tagli. Sino a 5 volte il minimo (2.620 euro lordi) si recupera infatti solo l’80%, che vale un aumento degli assegni del 5,84% e sino a sei volte il minimo (3.144 euro) si ottiene il 55%, ovvero il 4,01% in più. Sopra questa fascia, il taglio si fa più pesante: con gli assegni che arrivano a 4.192 euro (8 volte il minimo) l’aumento sarà dimezzato (+3,65%), dai 4.193 a 5.240 si otterrà il 2,92% in più (40% dell’inflazione prevista), mentre sopra quota 5.240 euro (dieci volte il minimo sociale) il recupero si fermerà al 35% ed assicurerà un aumento del 2,55%.

Il meccanismo precedente prevedeva tre soglie: 100% di copertura sino a 4 volte l’assegno minimo, 90% per la fascia compresa tra 4 e 5 volte e 75% per tutti i trattamenti superiore a 5 volte il minimo.

Con questa manovra il governo riduce l’onere della perequazione, che prima dei tagli pesava per circa 23 miliardi di euro sul bilancio del 2023 (50 miliardi di euro i tre anni), fa cassa e finanzia il resto del pacchetto previdenza, dalla nuova «Quota103» alla riconferma dell’Ape e di Opzione donna. Anche se in realtà quest’ultimo meccanismo di uscita anticipa dal lavoro viene modificato maniera significativa alzando il requisito di età da 59 a 60 anni ed introducendo uno sconto di un anno per le lavoratrici con un solo figlio e di due anni per chi ha due o più figli. Anche Quota103, ribattezzata «pensione anticata flessibile», contiene al suo interno un tranello, perché, oltre a poter accedere a questa misura avendo compiuto 62 anni e 41 anni di contributi, in molti casi bisognerà mettere in conto un taglio degli assegni visto che fino a quando l’interessato non avrà maturato i requisiti pieni per la pensione (67 anni di età o 42 e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi le donne) il suo assegno non potrà essere superiore a cinque volte il minimo (2.620 euro lordi al mese). Questa misura colpisce circa 5 mila pensionabili su una platea di 48 mila interessati e dimezza da 2 a un miliardo di euro il costo dell’operazione. Che come la vecchia Quota102 varrà per un solo anno, si vedrà più avanti con quali risultati.

Fonte: La Stampa.it

Argomento: 
Attualità e Politica