Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

La Corte di Giustizia UE boccia la mancata monetizzazione delle ferie non godute a fine rapporto di lavoro nella PA: non è ammessa dal diritto comunitario.

I dipendenti pubblici che cessano il servizio, hanno diritto alla monetizzazione delle ferie non godute: la legge italiana non riconosce questo diritto nel pubblico impiego in contrasto con le direttive comunitarie.

Lo ha rilevato una sentenza della Corte di Giustizia Europea, che ha dato ragione all’ex dipendente di un Comune in provincia di Lecce, al quale l’amministrazione di appartenenza non aveva pagato 79 giorni di ferie annuali mai utilizzate.

 

Ferie non godute: legge italiana non conferme alle direttive UE

I lavoratori del settore pubblico in Italia non hanno diritto a un’indennità economica in luogo delle ferie retribuite ma non goduti al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Il riferimento normativo è l’articolo 5 del dl 95/2012, in base al quale «le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione», sono obbligatoriamente fruite «secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi».

La disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età.

Il parere della Corte Europea

Secondo la Corte di Giustizia UE «il diritto dei lavoratori alle ferie annuali retribuite, ivi compresa la sua eventuale sostituzione con un’indennità finanziaria, non può dipendere da considerazioni puramente economiche, quali il contenimento della spesa pubblica».

Si tratta di «un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione europea, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88».

Il lavoratore perde la possibilità di farsi retribuire le ferie solo nel caso in cui abbia rifiutato di utilizzarle, pur dietro richiesta con insistenza del datore di lavoro. Come si legge nella sentenza:

il datore di lavoro è segnatamente tenuto, in considerazione del carattere imperativo del diritto alle ferie annuali retribuite e al fine di assicurare l’effetto utile dell’articolo 7 della direttiva 2003/88, ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo, e nel contempo informandolo, in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e la distensione cui esse sono volte a contribuire, del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato, o non potranno più essere sostituite da un’indennità finanziaria.

Se il datore di lavoro dimostra «di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto», non ha l’obbligo di corrispondere un’indennità per le ferie non godute. Ma, in caso contrario, il diritto al riposo prevale.

Sentenza UE: nuovo riferimento normativo

La sentenza è rilevante perché non interviene solo sul caso specifico ma fissa un principio.

E lo fa esplicitamente: la normativa europea (articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88), sottolinea la Corte, «osta a disposizioni o pratiche nazionali le quali prevedano che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non sia versata alcuna indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute al lavoratore che non sia stato in condizione di fruire di tutte le ferie annuali cui aveva diritto prima della cessazione di tale rapporto di lavoro».

Ora, le sentenze della Corte di Giustizia Europea non fanno giurisprudenza . nel senso che non obbligano gli Stati membri a modificare di conseguenza le leggi  – ma sono vincolanti per il giudice che si è rivolto al Tribunale di Strasburgo (in questo caso il tribunale di Lecce) ed anche per gli altri magistrati che eventualmente si trovassero a dover prendere decisioni su analogo argomento.

https://www.pmi.it/pubblica-amministrazione/pubblico-impiego/431920/sent...

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