Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

 Daniele Marantelli, parlamentare del Partito democratico (Pd), membro della Commissione Difesa, che ha presentato un'interpellanza  al ministro  della Difesa sull'argomento.
Obiettivo: capire «a quale stadio si trovi il progetto di riforma della giustizia militare, di sapere se è confermato l’intento di costituire un gruppo di lavoro sul tema presso il ministero della Difesa e di valutare, nell’ambito di tale riflessione e alla luce della già citata pochezza numerica e qualitativa del contenzioso trattato, la soppressione del sistema giudiziario militare e la sua integrazione nel sistema giudiziario ordinario».

 

 

 

Correva l'anno 2013, giorno 3 ottobre.
L'allora ministro della Difesa Mario Mauro si impegnava di fonte all'apposita Commissione della Camera a mettere mano alla giustizia militare, organo a parte della magistratura italiana con un'attività di lavoro irrisoria e impossibile da scalfire, ma con un peso non indifferente sui conti dello Stato.
Basti pensare che stiamo parlando di un totale di 58 magistrati, tra giudicanti e inquirenti, con uno stipendio medio di 150 mila euro, che in totale ci costano 20 milioni di euro all'anno.
Hanno un loro organo di autocontrollo, il Consiglio della magistratura militare (Cmm) - equivalente del Consiglio superiore della magistratura (Csm) - e sono ritenuti degli intoccabili.
C'è chi dice serva una legge costituzionale per riformare la categoria, per unificarla magari a quella civile, ma il governo Renzi si era impegnato fin da subito a eliminarla. 
IMPEGNI NEL ''LIBRO BIANCO''. Il ministro Roberta Pinotti, che ha preso il posto di Mauro a febbraio 2014, aveva proseguito gli obiettivi di inizio legislatura, tanto da inserirla persino nel ''Libro bianco'', il testo unico sulla sicurezza internazionale e la difesa.
Eppure a quasi tre anni di distanza non è cambiato nulla.
Anzi, nell'estate del 2016 la giustizia militare è passata agli onori delle cronache per il flop del processo a carico dell'ex capo di Stato maggiore dell'aeronautica Pasquale Preziosa, indagato per aver cercato di pregiudicare la carriera dell'attuale segretario generale della Difesa Carlo Magrassi.
CHIESTA LA SOPPRESSIONE. Perché quindi il governo non è ancora riuscito a cambiare le cose?
A domandarselo è Daniele Marantelli, parlamentare del Partito democratico (Pd), membro della Commissione Difesa, che ha presentato un'interpellanza proprio al ministro sull'argomento.
Obiettivo: capire «a quale stadio si trovi il progetto di riforma della giustizia militare, di sapere se è confermato l’intento di costituire un gruppo di lavoro sul tema presso il ministero della Difesa e di valutare, nell’ambito di tale riflessione e alla luce della già citata pochezza numerica e qualitativa del contenzioso trattato, la soppressione del sistema giudiziario militare e la sua integrazione nel sistema giudiziario ordinario».

Tre anni di tentativi andati a vuoto

Il parlamentare Daniele Marantelli.

Il parlamentare Daniele Marantelli.

 

Marantelli ribadisce aLettera43.it: «In Germania e Austria non esistono neppure i tribunali militari, sono vietati dalla fine della Seconda guerra mondiale», spiega.
«Mi domando poi se in tempi in cui si cerca di dare più forza all'Unione europea e si cerca di tornare allo spirito di Ventotene abbia senso differenziarci così dal resto dell'Europa».
Nell'interpellanza Marantelli mette in fila i lavori parlamentari che hanno trattato la vicenda.
 

MA QUALE GRUPPO AD HOC... «Il disegno di legge n. 2679 (Legge di stabilità 2015) presentato dal governo il 23 ottobre 2014 prevedeva, nell’ambito della riduzione delle spese e degli interventi correttivi del ministero della Difesa, il progetto di completamento della revisione della giustizia militare, con la soppressione dei tribunali militari e delle procure militari di Verona e Napoli, e quella del tribunale militare dì sorveglianza e dell’ufficio militare di sorveglianza; con cinque distinti ordini del giorno al Senato (9/01015/002 del 9 ottobre 2013 e 0/1577/21/01 del 17 marzo 2015) e alla Camera dei deputati (9/01682-A/028 del 24 ottobre 2013, 9/02486-Ar/121 del 31 luglio 2014 e 9/03444-A/179 del 19 dicembre 2015) nonché con la risposta del ministro in IV Commissione permanente Difesa della Camera del 3 ottobre 2013 (5-01121), il governo si impegnava a porre in essere una razionalizzazione della giustizia militare, previa costituzione di un gruppo di lavoro ad hoc presso il ministero della Difesa».

 

Eppure la giustizia militare ha una produttività bassissima

 

Spiega il parlamentare del Pd: «Il “Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa” redatto dallo stesso ministero della Difesa ribadiva che ''il governo intende proseguire lo sforzo di maggiore efficienza del sistema e di razionalizzazione studiando anche la possibilità di forme giuridicamente evolute basate sul principio di unicità della giurisdizione penale e che prevedano di dotarsi, in tempo di pace, di organi specializzati nella materia penale militare incardinati nel sistema della giustizia ordinaria''».
 

INSIGNIFICANZA STATISTICA. Del resto la produttività nell’ambito della giurisdizione militare è al limite dell’insignificanza statistica per la pochezza numerica e qualitativa del contenzioso penale: nel corso dell’anno 2015 la Corte militare d’Appello ha registrato un elevato numero di sopravvenienze soprattutto per peculato e truffa (28%), insubordinazione (19%) e abuso di autorità (17%) e, in totale, i procedimenti trattati sono «in numero molto esiguo», come ha spiegato lo stesso Giuseppe Mazzi, presidente della Corte militare di Appello.

 

Fonte - http://www.lettera43.it/

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