Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Sarà il disegno di legge Madia ad occuparsi della disciplina dei licenziamenti nel pubblico impiego. Per il premier Renzi l’eventuale estensione al pubblico delle nuove norme in vigore nel privato, è affidata al provvedimento sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche che è all’esame della commissione Affari costituzionali del Senato. Renzi si è assunto la reponsabilità politica della scelta fatta in consiglio dei ministri di togliere dal Jobs act il riferimento al pubblico impiego: «Se è giusto che un impiegato pubblico che sbaglia paghi, partendo dai furti e arrivando all’assenteismo a volte vergognoso, la risposta è sì - ha aggiunto Renzi nella conferenza stampa di fine anno - sono pronto al confronto in Parlamento. Le regole le vedremo a febbraio». Tra i motivi che giustificano un licenziamento di un dipendente pubblico per Renzi «si può prevedere anche lo scarso rendimento», fattispecie peraltro non espressamente prevista dal Jobs act nel privato ma già in vigore con la legge Brunetta nel pubblico, «semmai si può immaginare che ci sia un ruolo maggiore dei giudici». 

La dichiarazione di Renzi è stata accolta con soddisfazione dalla sinistra Pd e dalla Cgil: «È una pietra tombale sull’estensione del Jobs act al pubblico impiego», ha commentato Cesare Damiano (Pd). Quanto al Ddl Madia, all’articolo 13 si occupa del riordino della disciplina di lavoro dei dipendenti pubblici, senza tuttavia fare alcun riferimento alla disciplina sui licenziamenti. Dovranno quindi essere inseriti dei principi e criteri direttivi sul tema. Non si preannunciano tempi celeri, visto che il comma 1 dell’articolo 13 demanda a decreti legislativi il riordino della disciplina in materia di lavoro «da adottare sentite le organizzazioni sindacali più rappresentative, entro 12 mesi dalla scadenza della delega dell’articolo 10», che è di 12 mesi dall’entrata in vigore della legge. In tutto, dunque, due anni. 

Ma come funzionano adesso i licenziamenti nella Pa? La legge Fornero (la numero 92 del 2012), ha escluso i dipendenti pubblici dall’applicazione delle modifiche apportate all’articolo 18 della legge 300 del 1970. «Il rito Fornero attualmente si applica anche ai licenziamenti nel pubblico anche se la tutela è quella dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori pre Fornero», spiega Sandro Mainardi, professore di diritto del lavoro all’università di Bologna. Per i licenziamenti disciplinari nel pubblico si applica la procedura del Dlgs 165 del 2001, modificato dalla legge Brunetta (dlgs 150 del 2009), che ha individuato anche fattispecie di licenziamento legate all’anticorruzione (ripetuta violazione delle norme anticorruzione, gravi violazioni del codice di comportamento). Ogni ente è dotato di un ufficio per i procedimenti disciplinari che contesta, istruisce e applica le procedure sia per sanzioni conservative (sospensione) che in caso di licenziamento, mentre per le sanzioni minori è previsto l’intervento del dirigente. «La legge Brunetta prevede sanzioni nei confronti dei dirigenti o degli uffici inadempienti - aggiunge Mainardi - ed ha sollevato i dirigenti dalla possibilità di essere citati in giudizio per responsabilità civile. Si evita che vengano chiesti danni civili da dipendenti pubblici licenziati ai dirigenti che potrebbero essere scoraggiati dall’intervenire». Sempre la legge Brunetta ha introdotto tra i motivi di licenziamento anche lo scarso rendimento che però per essere rilevante deve essere almeno biennale, diversamente dal privato. Dal 2015, in caso di licenziamento per motivi disciplinari di un neo assunto considerato illegittimo dal giudice, ad esempio per vizi procedurali o per motivi di forma, per il dipendente pubblico scatterà la reintegra, per il dipendente privato il pagamento di un indennizzo. «Per i licenziamenti diciplinari ritengo non vi sia alcuna giustificazione anche dal punto di vista costituzionale perché continui ad esservi un diverso trattamento tra pubblico e privato», sostiene Mainardi. 

Quanto ai licenziamenti economici, il pubblico ha una disciplina specifica con l’istituto della mobilità da eccedenza, prevedendo una verifica periodica da parte dell’amministrazione sulle dotazioni organiche. I dipendenti pubblici in sovrannumero vengono iscritti nelle liste di mobilità - hanno un sostegno al reddito di durata biennale - , e sono messi a disposizione delle amministrazioni. Che prima di bandire un concorso per assumere, dovranno dare la precedenza a dipendenti iscritti nele liste di mobilità che abbiano i requisiti per coprire il posto. Terminati i due anni, se nessuna amministrazione ha fatto richiesta, il rapporto di lavoro cessa. «I licenziamenti per eccedenza di personale rappresentano una vera rarità» continua Mainardi.

La scelta di escludere i dipendenti pubblici è contestata da Sc: «Il premier ha confermato di avere lui stesso deciso la soppressione, nel testo del decreto sul contratto a tutele crescenti, del comma 3 dell’articolo 1, che mirava a escludere l'applicazione della nuova disciplina anche nel settore pubblico - afferma il giuslavorista Pietro Ichino (Sc) -. Se questa scelta del Governo verrà confermata a gennaio in seconda lettura la nuova disciplina sarà applicabile anche nel settore pubblico». Quanto alla decisione di affrontare il tema nel Ddl Madia: «Ci sono ottimi motivi per prevedere delle regole di governance interna agli enti pubblici - continua Ichino - in particolare disposizioni sul modo in cui la facoltà di recesso dal rapporto di lavoro deve essere esercitata in questi enti. Come nei public bodies anglosassoni, dove il licenziamento non può essere deciso da un singolo dirigente, ma solo da un organo collegiale. Si tratta però di norme riguardanti l’organizzazione interna dell'ente. La disciplina generale della materia nel settore pubblico può benissimo essere quella generale, che si applica a tutti i rapporti di lavoro». (Il sole 24ore)

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Attualità e Politica