Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

La riforma dei contratti della PA va a rilento. Attualmente il governo Renzi ha stanziato appena 300 milioni di euro nella legge di stabilità, pochissimi per i sindacati. Ma un altolà è arrivato dalla Corte dei Conti, che ha indicato delle linee guida all’esecutivo renziano. 

No ad aumenti salariali bassi, uguali per tutti, sulle sole componenti fisse degli stipendi, non legati a produttività ed efficienza. L’ammonimento arriva dalla magistratura contabile in vista dell’ormai prossimo e “improcrastinabile” riavvio dei rinnovi contrattuali per il pubblico impiego. 

“Il rischio da evitare è quello di una contrattazione minimale che, anche in relazione alla scarsità delle risorse disponibili, si limiti a prevedere incrementi indifferenziati sulle sole componenti fisse della retribuzione”. Lo si legge nella Relazione sul costo del Lavoro pubblico, anno 2016, della Corte dei conti, presentata nei giorni scorsi dal presidente Raffaele Squitieri, al ministero della Pubblica amministrazione.

Nel delineare le prospettive per la ripresa della contrattazione collettiva la Corte auspica che tale istituto “affronti i nodi irrisolti del pubblico impiego”. In particolare, e soprattutto alla contrattazione è affidato “il non facile percorso verso politiche di personale in grado di intervenire sulle criticità strutturali del pubblico impiego”.

La Corte evidenzia la ripresa delle trattative “si confronta, peraltro, con un contesto ordinamentale mai sperimentato sinora per il pubblico impiego, e in parte, da completare”, facendo chiaro riferimento all’accordo raggiunto il 5 aprile sui comparti, con la riduzione da undici a quattro: funzioni centrali, funzioni locali, comparto dell'istruzione e ricerca, e sanità.

Ma non è tutto. Oltre alla necessità di armonizzare alcune regole dell'accordo quadro del 2009 con la riforma Brunetta (legge 150 del 2009) in merito ai vincoli e al ruolo della contrattazione di secondo livello, andranno definiti anche i margini di autonomia per i comparti riguardanti il personale non statale, in coerenza con l'evoluzione del quadro ordinamentale del federalismo amministrativo e fiscale, raccomanda ancora la Corte dei conti.

Un altro tema, piuttosto complicato, riguarda una revisione delle regole sulla crescita delle retribuzioni anche alla luce della concreta esperienza della contrattazione del settore privato. In particolare, le previsioni circa l’andamento dell'inflazione misurata secondo l'indice Ipca dell'Istat "si sono, infatti, rivelate poco affidabili". Inoltre, la eventuale decisione di "depurare l'indicatore dell'inflazione dall'andamento dei prezzi dei prodotti energetici importati merita di essere riconsiderata nell'attuale, inusitato, contesto di andamento in diminuzione del prezzo del petrolio" sottolineano ancora i magistrati.

Infine "una ulteriore problematica riguarda l'individuazione della massa salariale di riferimento alla quale applicare il predetto indicatore costituita dalle sole voci di carattere stipendiale, dizione, quest'ultima, al momento non univoca e suscettibile di diverse interpretazioni".

Argomento: 
Attualità e Politica