Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Il Capo della Polizia ha diffuso la circolare con la quale richiama i poliziotti ad un uso responsabile dei social network. Si tratta di una iniziativa attesa da tempo, che i più recenti fatti di cronaca avevano portato all’attenzione dell’opinione pubblica e dei media per le ricadute negative.

L’uso dei social network rappresenta una delle esperienze più significative dell’esistenza umana. Una rivoluzione che ha modificato irreversibilmente le nostre modalità relazionali, cambiando il nostro modo di vivere e di lavorare, di elaborare le informazioni e di sperimentare la realtà.

Instagram, Twitter, Facebook e WhatsApp sono diventati contenitori della nostra quotidianità. Intorno ad essi gravitano investimenti considerevoli, arrivando a determinare veri e propri cambiamenti sociali, politici, economici.

Hanno ampliato le potenzialità comunicative, tuttavia hanno anche introdotto un’eccessiva semplificazione dei processi di apprendimento e di informazione, con un evidente impoverimento sotto il profilo qualitativo.

Ma qual è la percezione dell’uso dei social network da parte degli utilizzatori?

C’è una scarsa consapevolezza delle effettive potenzialità di diffusione del informazioni che vengono pubblicate. Si tende a pensare che queste vengano esaminate da cerchie limitate di persone. Nella realtà si tratta di informazioni trasmesse con straordinaria rapidità e diffusione. La condivisione di informazioni da un estremo all’altro del pianeta è, pressoché immediata, sebbene l’uso prevalente, oggi, è ancora limitato a socializzare, divertirsi e sviluppare nuove amicizie. Ecco perché è necessario prestare particolare attenzione ai contenuti e all’origine di quanto pubblicato, così come è importante valutare attentamente l’espressione di opinioni e commenti.

La circolare risulta essere eccezionalmente articolata con tratti di chiara originalità. È sicuramente il frutto di una riflessione correlata a consolidati principi costituzionali, previsioni giuridiche e regolamentari, nonché a contenuti squisitamente deontologici. Si sottolinea il concetto secondo il quale «l’immagine del poliziotto prevale su quella del cittadino». Potrà sembrare una forzatura, e in parte lo è, ma le conseguenze della pubblicazione di informazioni o immagini da parte di soggetti che ne dispongono in via privilegiata, sono sotto gli occhi di tutti. Si pensi alle immagini del giovane americano Hjorth, autore dell’omicidio del Vice Brigadiere dei Carabinieri Cerciello Rega, ma si pensi anche alla condotta recente del Ministero Salvini che istigava alla diffusione di post discutibili, caratterizzati da contenuti estremamente aggressivi, sicuramente percepiti, anche dai vertici dello stesso Viminale come contrari ai valori democratici e costituzionali.

In molti casi, non si è trattato solo di diffusione di informazioni riservate, ma anche di promuovere contesti che hanno lasciato il segno nell’opinione pubblica mettendo in cattiva luce l’Istituzione e la categoria. Ecco la ragione del richiamo ad «un comportamento sempre improntato al massimo rispetto dei principi costituzionali e della dignità della persona».

Le piattaforme social sono insicure per definizione e non consentono di garantire il necessario riserbo e la doverosa sicurezza delle informazioni, obblighi che la legge impone ad ogni operatore della sicurezza pubblica. Oggi, WhatsApp, Telegram, Facebook ecc., sono custodi di informazioni delicatissime. Amministrare l’utilizzo che se ne fa di questo genere di comunicazione è diventata una vera e propria sfida alla complessità.

L’uso dei social network si è esteso anche come strumento di lavoro. La diffusione delle informazioni, che prima dell’avvento dei social, avveniva con strumenti tradizionali, oggi è più facile più rapida, spesso senza le necessarie cautele. Ecco perché i social restano strumenti di comunicazione insicuri e anche pericolosi e perché qualunque esperto metterebbe al bando il loro utilizzo nel delicato settore della sicurezza pubblica. Eppure di essi se ne fa largo uso, da parte dei lavoratori, come da parte delle stesse amministrazioni pubbliche.

Se usati come strumento di comunicazione ad ogni livello dell’Organizzazione nella quale si opera, si spinge i lavoratori verso l’inconscia convinzione che lo strumento possa essere utilizzato senza riserve, e adottato senza limitazioni. D’altro canto, Whatsapp, come i restanti social network non sono sicuri, perché appartengono a soggetti privati, perché hanno sede fuori della giurisdizione nazionale, perché sono totalmente svincolati dal controllo richiesto ad uno strumento di comunicazione istituzionale.

Tenendo conto di questa prospettiva, si apre un’ulteriore riflessione sull’uso invasivo delle informazioni correlato alla salute dei lavoratori, in relazione allo stress che l’essere costantemente connessi determina in ognuno di noi: oltre a mettere a repentaglio il prestigio e la sicurezza dell’Organizzazione, l’uso dei social mette a rischio anche le lavoratrici e i lavoratori sottoponendoli agli effetti del “tecnostress” che determina l’onere di rispondere a sollecitazioni costanti durante la giornata, anche al di fuori dell’orario di servizio.

Con l’uso dei social al lavoro si è realizzato l’annullamento del confine tra vita e lavoro, confermando una cultura organizzativa, tipica delle forze di polizia, che fa sì che non esistauna linea di demarcazione netta tra la dimensione personale e quella professionale.

In Francia è stato approvato il «diritto di disconnessione», una norma – che fa parte del pacchetto di leggi sul lavoro approvato nel maggio 2018, la cosiddetta “Loi Travail”, che obbliga le aziende con più di 50 dipendenti a negoziare con i lavoratori il diritto a non rispondere alle e-mail ealle telefonate fuori degli orari di lavoro. La misura è stata pensata per stabilire un confine tra la flessibilità del lavoro e l’onnipresenza di una cattiva amministrazione degli strumenti tecnologici, la quale obbliga ad essere sempre connessi, e quindi disponibili.

È prevista la pubblicazione di una carta in cui si elencano i diritti e i doveri dei lavoratori fuori dall’orario di lavoro, la definizione precisa di momenti del giorno o della settimana in cui i dipendenti hanno il diritto di non essere connessi.

Una previsione analoga è contenuta, seppure in modo meno esplicito, nelle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro; infatti, l’art. 28 D.Lgs. 81/08 prevede che, nell’effettuare la valutazione, il datore di lavoro tenga anche conto di rischi particolari come quelli psicosociali e quelli collegati allo stress lavoro-correlato. La tutela della salute del lavoratore va intesa in senso ampio, non solo strettamente legata agli aspetti fisici e quale profilassi dall’insorgenza di patologie vere e proprie, ma anche in senso psichico e addirittura in senso sociale, contro fenomeni, quale l’utilizzo eccessivo degli strumenti tecnologici, che possono avere effetti negativi sulla vita sociale, familiare e di relazione.

Bene ha fatto il Prefetto Gabrielli a ribadire il divieto di diffondere «informazioni e dati, e pubblicare notizie, immagini ovvero audio relativi ad attività di servizio» e mantenere «massimo equilibrio, cautela e attenzione nella partecipazione a discussioni su forum sul web» in maniera da non compromettere «efficacia e sicurezza dei servizi oltre a collidere con obblighi di mantenimento del segreto d’ufficio». Meglio avrebbe fatto se avesse affrontato la questione in senso ampio, con forme di garanzia e tutela degli stessi lavoratori, richiamando tutta l’Istituzione all’adozione di un modello organizzativo coerente, perché l’aumento dei carichi di lavoro e il maggiore utilizzo delle tecnologie e della comunicazione sta cambiando la natura e le caratteristiche anche di un mestiere intorno al quale permangono criticità irrisolte, come dimostrano i diversi fatti di cronaca degli ultimi mesi.

Ecco perché è importante avere una visione effettivamente complessiva del lavoro, monitorando i cambiamenti e studiandone gli effetti, anche quelli legati all’uso delle tecnologie in ambito lavorativo, con la laicità che si richiede in questo contesto.

 

*Nicola Rossiello è Segretario Generale Regionale SILP CGIL PIemonte – Responsabile Dipartimento Sicurezza sul Lavoro SILP CGIL Nazionale

 

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