Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Il Tar Lombardia, il Tar Emilia-Romagna, il Tar Lazio ed il Consiglio di Stato, impugnano, con quattro distinte ordinanze e per violazione di numerose norme costituzionali, l’art. 1 commi 1,2,3, del d.l. n. 90/2014 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari) nella parte in cui dispone l’abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti civili dello Stato. Nel respingere tutte le numerose eccezioni di incostituzionalità sollevate, i giudici della Consulta in particolare stabiliscono che l’istituto del trattenimento in servizio, che è cosa diversa dal collocamento a riposo, a seguito dell’evoluzione normativa, è diventato, da diritto potestativo, mero interesse del lavoratore, da far valere mediante apposita istanza che l’amministrazione è libera o meno di accogliere in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali.

La Consulta “promuove” il decreto legge Madia (convertito nella legge n. 114 del 2014), che dice no al trattenimento in servizio oltre i limiti di età per la pensione nella Pubblica amministrazione. 

 

La Corte costituzionale con una sentenza deposita il 10 gugno scorso ha infatti dichiarato infondate le questioni di incostituzionalità sollevate a proposito di alcuni casi relativi a docenti universitari e avvocati dello Stato. Il provvedimento, tra l’altro, dice la Corte, «favorisce il ricambio generazionale».  

 

La legge Madia abolisce il trattenimento in servizio che permetteva di restare al lavoro anche dopo il compimento dell’età richiesta per andare in pensione. Per la generalità del pubblico impiego lo stop alla possibilità di rimandare la pensione è scattato il 31 ottobre 2014, mentre una deroga è stata concessa ai magistrati per i quali, pur con alcuni paletti, la scadenza è fissata alla fine del 2016. 

 

La sentenza depositata  ricorda che la norma che prevede l’eliminazione del trattenimento in servizio si inserisce tra le misure volte a «favorire la più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici», come afferma la legge stessa, e «costituisce - scrive la Corte, giustificando l’uso del decreto legge - un primo intervento, peraltro puntuale e circoscritto, di un processo laborioso, destinato a dipanarsi in un arco temporale più lungo, volto a realizzare il ricambio generazionale nel settore». 

 

La Consulta esclude anche la violazione dell’obbligo di copertura finanziaria del provvedimento facendo riferimento alla relazione tecnica dove, si legge nella sentenza, «è chiaramente indicato che, dopo l’anno 2018, gli oneri mostrano un andamento decrescente». Inoltre, la valutazione della legge «non può essere costretta in una dimensione temporale limitata, ma deve svolgersi in riferimento a un arco temporale sufficientemente ampio» durante il quale «l’attuazione delle misure in esame appare idonea ad agevolare risparmi da cessazione capaci di liberare risorse nuove spendibili per l’auspicato ricambio generazionale». 

 

La “ratio” della legge Madia, afferma la Consulta, è proprio «quella di favorire politiche di ricambio generazionale a fronte della crisi economica. Gli effetti positivi attesi dall’abrogazione del trattenimento in servizio sono connessi alla necessità di realizzare progressivi risparmi da cessazione che, in relazione al regime del turn over, alimenterebbero le risorse utilizzabili per le nuove assunzioni». 

 

Richiamando poi sue precedenti sentenze, la Consulta ribadisce che «il buon andamento dell’amministrazione non può dipendere affatto dal mantenimento in servizio di personale che ha raggiunto i limiti di età», posto che «il prolungarsi del servizio oltre i limiti non è sempre indice di accrescimento dell’efficienza organizzativa».  

 

 

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