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Nominato a Palazzo Spada da Romano Prodi nel 2007, due anni fa gli è stata cancellato il compenso. Motivo? Con la sua pensione raggiungeva già il limite dei 240 mila euro. Limite fissato per le alte sfere della pubblica amministrazione. Da qui il ricorso al tar. Che ha rimesso il caso alla Corte costituzionale. Chiamata ora a decidere sul “rilevantissimo sacrificio delle aspettative economiche” subite dal generale

Fuoco alle polveri. Nicolò Pollari, l’ex capo del Servizio informazioni e sicurezza militare (Sismi), ha già vinto il primo round. E si prepara a dare battaglia di fronte alla Corte Costituzionale: manca solo la data, ma lo spettacolo alla Consulta è assicurato. Perché in ballo non ci sono segreti di Stato. Ma una disputa che ruota attorno al tema, più prosaico, del tetto aglistipendi d’oro. Una vera mannaia per l’ex capo dei Servizi approdato al Consiglio di Stato e da più di due anni alle prese con una guerra a suon di cedolini.

BUSTA E SPADA La vicenda è quasi surreale. Pollari è stato nominato Consigliere di Stato da Romano Prodi nel 2007. A compensazione, si disse allora, del suo avvicendamento a capo degli007 deciso dopo il deflagrare del caso del rapimento di Abu Omar. Per il quale il Generale sarebbe poi andato a processo. Ma qui il suo ruolo nei Servizi non c’entra. Questa vicenda, infatti, si svolge tutta a palazzo. Come racconta lo stesso Pollari di fronte al tribunale regionale del Lazio a cui si rivolge per ottenere giustizia. La nomina a Consigliere di Stato giunge a “coronamento di una carriera pubblica di assoluto spicco e concerne un numero molto ridotto diservitori dello Stato, che è accettata sovente anche rinunciando a significative opportunità nel settore privato”, ha spiegato di fronte ai magistrati del tar. Sottolineando come a Palazzo Spada si venga nominati per “meriti acquisiti nell’esercizio delle precedenti funzioni, ma anche per specifica attitudine all’esercizio delle nuove attribuzioni”.

NOTA DOLENTE  E infatti una volta varcato il portone di Piazza Capo di Ferro, sede del Consiglio di Stato, Pollari si è messo al lavoro e ha percepito per questo uno stipendio. Che ha sommato alla pensione erogata dalla Presidenza del Consiglio che lo ha messo a riposo dopo i decenni passati ai vertici militari e dello Stato. Almeno fino a maggio 2014, quando si è visto recapitare una nota, la prima di una serie, da parte dell’amministrazione del Consiglio di Stato, su segnalazione proprio di Palazzo Chigi. Che lo informava di un fatto nuovo: e cioè l’approvazione del tetto massimo dei 240 mila euro per le alte sfere della pubblica amministrazione. Tetto che Pollari, e non solo lui, raggiunge con la sola pensione. E il lavoro al Consiglio di Stato? Da svolgere praticamente gratis. Di qui la battaglia a suon di carte bollate.

CORPO A CORPO Il colpo inferto è stato durissimo. E non solo perché, a detta dell’interessato, questo fatto nuovo “ha determinato un rilevantissimo sacrificio delle proprie aspettative economiche”. A lasciare il segno sono stati anche i modi: a Pollari è stato chiesto, senza tanti complimenti, di dare un’occhiata aicedolini percepiti in precedenza. E da quel momento versarsi da solo le addizionali Irpef dopo la sospensione del trattamento retributivo che gli sarebbe spettato come Consigliere di Stato. E naturalmente gli è stata chiesta anche la restituzione di quanto già percepito prima di quella data in violazione del tetto sui compensi. Restituzione con effetto immediato e in un’unica soluzione. Unosmacco per chi nel corso della sua carriera non ha diretto solo il Sismi, ma è stato pure vicesegretario del Cesis, Capo di Stato maggiore del Comando generale, Comandante del Nucleo centrale della Polizia Tributaria e Generale di Corpo d’Armata della Guardia di Finanza.

FUORI ERARIO La sua risposta non si è fatta attendere: Pollari si è affidato ad uno dei più importanti costituzionalisti italiani,Massimo Luciani, per smontare pezzo per pezzo la difesa messa in campo dall’Avvocatura dello Stato. Al tar, Luciani ha fatto scintille: giudizio sospeso in sede amministrativa fino a che la Consulta non si pronuncerà sulla legge in odore di illegittimità rispetto, non a uno ma a ben 10 articoli della Costituzione. Il meccanismo evidenziato dal ‘caso Pollari’ infatti, determina “una violazione del diritto al lavoro e ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato”, hanno scritto i magistrati della seconda sezione del tar Lazio. Che poi hanno sottolineato pure “la disparità di trattamento” che l’azzeramento della sua remunerazione comporta rispetto agli altri Consiglieri che svolgono la stessa attività. E che, addirittura, chiama in causa “l’indebolimento delle garanzie di indipendenzanell’esercizio delle funzioni giurisdizionali”.Fonte: Il Fatto Quotidiano

Argomento: 
Attualità e Politica